Milano ha commemorato la sera in cui fu colpita al cuore, 25 anni fa, il 27 luglio 1993, quando un’autobomba in via Palestro uccise cinque persone, ne ferì molte altre e devastò il Padiglione d’arte contemporanea insieme a tutta la zona circostante. A morire furono i vigili del fuoco Carlo La Catena, Sergio Pasotto e Stefano Picerno, il vigile urbano Alessandro Ferrari e il senzatetto Moussafir Driss. In memoria delle vittime il comando provinciale dei Vigili del fuoco di Milano, contemporaneamente a tanti altri comandi del territorio nazionale, ha tenuto una cerimonia nello spiazzale della caserma.
“Memoria e impegno sono i pilastri del vivere della civiltà milanese” ha dichiarato il sindaco Beppe Sala, durante il suo intervento all’inaugurazione della mostra “La mafia uccide solo d’estate. 25 anni dalla strage di via Palestro”, al Pac, che venne distrutto da un’autobomba di “Cosa nostra”. “Le vittime devono essere ricordate singolarmente, per rendere il giusto tributo, perché la mafia, quando uccide, non spezza qualcosa di astratto ma annienta vite umane”, ha detto il sindaco, citando i nomi delle 5 vittime: i vigili del fuoco Carlo La Catena, Sergio Pasotto e Stefano Picerno, il vigile urbano Alessandro Ferrari e il senza tetto Moussafir Driss. “I vigili del fuoco, quando sono accorsi, erano consapevoli che poteva esplodere un ordigno e hanno sacrificato la loro vita per isolare l’area e salvare molta gente che passava”, ha aggiunto Sala.
“E’ con ostinazione che Milano ricorda e, con estrema ostinazione, Milano ricorda la vicenda processuale successiva, molto lontana da una conclusione almeno accettabile. Sono stati individuati gli esecutori e i fiancheggiatori ma su mandanti e ispiratori è chiara la verità storica ma non la verità giuridica sui singoli”, ha ricordato Sala, citando anche l’assoluzione, nei giorni scorsi, del presunto ‘basista’ della strage Filippo Marcello Tutino. “Accanto alla memoria dobbiamo continuare con l’impegno milanese nella lotta alla mafia. – ha aggiunto Sala – Si tratta di una lotta complessa che richiede un afflato civile forte e una passione vera. Anche oggi noi siamo qui per ribadire che a Milano la mafia ci prova ma non ce la fa, perché è il contrario della mafia”.
LA STRAGE – L’attentato, compiuto in via Palestro, presso la Galleria d’arte moderna e il Padiglione di arte contemporanea, viene inquadrato nella scia degli altri attentati del ’92-’93 che provocarono la morte di 21 persone (tra cui i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino) e gravi danni al patrimonio artistico. Nel maggio 1993 alcuni mafiosi di Brancaccio e Corso dei Mille (Giuseppe Barranca, Gaspare Spatuzza, Cosimo Lo Nigro, Francesco Giuliano) provvidero a macinare e confezionare altro esplosivo in una casa fatiscente a Corso dei Mille, sempre messa a disposizione da Antonino Mangano (capo della Famiglia di Roccella); a metà luglio le due balle di esplosivo vennero nascoste in un doppiofondo ricavato nel camion di Pietro Carra (autotrasportatore che gravitava negli ambienti mafiosi di Brancaccio), che le trasportò ad Arluno, in provincia di Milano, insieme a Lo Nigro, che portò con sé una miccia ed altro materiale: ad Arluno, Carra e Lo Nigro furono raggiunti da una persona che li condusse in una stradina di campagna, dove scaricarono l’esplosivo[. Il 27 luglio Lo Nigro e Giuliano giunsero a Roma, provenendo da Milano, per organizzare anche gli attentati alle chiese di San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro.
La sera del 27 luglio l’agente di Polizia Locale Alessandro Ferrari notò la presenza di una Fiat Uno (che risulterà poi rubata qualche ora prima) parcheggiata in via Palestro, di fronte al Padiglione di arte contemporanea, da cui fuoriusciva un fumo biancastro e quindi richiese l’intervento dei Vigili del fuoco, che accertarono la presenza di un ordigno all’interno dell’auto; tuttavia, qualche istante dopo, l’autobomba esplose ed uccise l’agente Alessandro Ferrari e i vigili del fuoco Carlo La Catena, Sergio Pasotto e Stefano Picerno ma anche l’immigrato marocchino Moussafir Driss, che venne raggiunto da un pezzo di lamiera mentre dormiva su una panchina. L’onda d’urto dell’esplosione frantumò i vetri delle abitazioni circostanti e danneggiò anche alcuni ambienti della vicina Galleria d’arte moderna, provocando il crollo del muro esterno del Padiglione di arte contemporanea. Durante la notte esplose una sacca di gas formatasi in seguito alla rottura di una tubatura causata dalla deflagrazione, che procurò ingenti danni al Padiglione, ai dipinti che ospitava e alla circostante Villa Reale.
Le indagini ricostruirono l’esecuzione della strage di via Palestro in base alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Pietro Carra, Antonio Scarano, Emanuele Di Natale e Umberto Maniscalco: nel 1998 Cosimo Lo Nigro, Giuseppe Barranca, Francesco Giuliano, Gaspare Spatuzza, Luigi Giacalone, Salvatore Benigno, Antonio Scarano, Antonino Mangano e Salvatore Grigoli vennero riconosciuti come esecutori materiali della strage di via Palestro nella sentenza per le stragi del 1993; tuttavia, nella stessa sentenza, si leggeva: «[…] Purtroppo, la mancata individuazione della base delle operazioni a Milano e dei soggetti che in questa città ebbero, sicuramente, a dare sostegno logistico e contributo manuale alla strage non ha consentito di penetrare in quelle realtà che, come dimostrato dall’investigazione condotta nelle altre vicende all’esame di questa Corte, si sono rivelate più promettenti sotto il profilo della verifica “esterna”».
Nel 2002, sempre in base alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Carra e Scarano, la Procura di Firenze dispose l’arresto dei fratelli Tommaso e Giovanni Formoso (“uomini d’onore” di Misilmeri), identificati dalle indagini come coloro che aiutarono Lo Nigro nello scarico dell’esplosivo ad Arluno e che compirono materialmente la strage di via Palestro. Nel 2003 la Corte d’Assise di Milano condannò i fratelli Formoso all’ergastolo e tale condanna venne confermata nei due successivi gradi di giudizio. Nel 2008 Gaspare Spatuzza iniziò a collaborare con la giustizia e fornì nuove dichiarazioni sugli esecutori materiali della strage di via Palestro: in particolare, Spatuzza riferì che lui, Cosimo Lo Nigro, Francesco Giuliano, Giovanni Formoso e i fratelli Vittorio e Marcello Tutino (mafiosi di Brancaccio) parteciparono ad una riunione in cui vennero decisi i gruppi che dovevano operare su Roma o Milano per compiere gli attentati; secondo Spatuzza, Formoso e i fratelli Tutino operarono su Milano e in un primo momento lui, Lo Nigro e Giuliano li raggiunsero per aiutarli nello scarico dell’esplosivo e nel furto della Fiat Uno utilizzata nell’attentato, per poi tornare a Roma al fine di compiere gli attentati alle chiese.
In seguito Spatuzza scagionò anche Tommaso Formoso, dichiarando che all’attentato partecipò soltanto il fratello Giovanni, che da Tommaso si era fatto prestare con una scusa la villetta di Arluno dove venne scaricato l’esplosivo: tuttavia nell’aprile 2012 la Corte d’Assise di Brescia rigettò la richiesta di revisione del processo a Tommaso Formoso, adducendo che le sole dichiarazioni di Spatuzza non bastavano. Sempre sulla base delle dichiarazioni di Spatuzza, nel 2012 la Procura di Firenze dispose l’arresto del pescatore Cosimo D’Amato, cugino di Cosimo Lo Nigro, il quale era accusato di aver fornito l’esplosivo, estratto da residuati bellici recuperati in mare, che venne utilizzato in tutti gli attentati del ’92-’93, compresa la strage di via Palestro. Nel 2013 D’Amato venne condannato all’ergastolo con il rito abbreviato dal giudice dell’udienza preliminare di Firenze.