L’altra faccia dell’economia siciliana quella svelata dall’ultima inchiesta della procura di Palermo che oggi ha portato all’arresto di 28 persone: quattro ai domiciliari – tra cui un noto penalista palermitano – e 24 in carcere. Per altri 19 indagati è stato disposto il divieto di dimora. Eseguite decine di perquisizioni e sequestri di società e immobili per diversi milioni di euro. L’indagine – condotta dal nucleo di polizia valutaria della Guardia di finanza, è stata coordinata dal procuratore Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Salvatore De Luca e dai pm RobertoTartaglia, Amelia Luise, Annamaria Picozzi e Siro DeFlammineis – ricostruisce la struttura dei clan dopo la morte Totò Riina: nuovi equilibri, nuovi capi e nuovi business.
Al centro delle indagini c’è Giuseppe Corona, il nome chiave dell’ultima inchiesta, il “re del riciclaggio” al quale i Madonia avevano affidato il proprio tesoro: tanti soldi da ripulire, e le scommesse dell’ippodromo. Secondo gli inquirenti Corona sarebbe uno degli esponenti di spicco del clan Porta Nuova e uno degli uomini forti della riorganizzazione mafiosa dopo la morte del boss e sarebbe stato proprio lui a stabilire le nuove strategie economiche di Cosa nostra. Il suo nome non è nuovo alle autorità palermitane, infatti era spuntato fuori durante l’inchiesta che, l’anno scorso, portò in carcere i vertici del clan mafioso di Resuttana, dai boss stragisti della famiglia Madonia.
Tra gli arrestati c’è anche Raffaele Favaloro, il figlio del pentito Marco Favaloro, tra i responsabili dell’omicidio dell’imprenditore Libero Grassi, ucciso perché si era opposto al racket del pizzo. Favaloro, mafioso del clan Resuttana, ha saltato il fosso e ha cominciato a collaborare con i magistrati già negli anni Novanta. Al figlio gli inquirenti contestano l’associazione mafiosa e il riciclaggio attraverso le attività dei Compro Oro. Pur non essendo mai stato formalmente affiliato, Marco Favaloro era un uomo di fiducia dei boss Madonia. Corona, invece, non è un insospettabile. Il suo nome era già citato negli atti di un’inchiesta che, l’anno scorso, portò in carcere i vertici del clan mafioso di Resuttana da sempre guidato dai boss stragisti della famiglia Madonia. Condannato a 17 anni per un omicidio commesso dopo una banale lite per la restituzione di un braccialetto, figlio di un mafioso assassinato, di lui il capomafia Gregorio Palazzotto diceva “è mio fratello”. Fiumi di soldi sporchi guadagnati con il traffico di droga sono passati per le sue mani: secondo i pm, Giuseppe Corona avrebbe fatto diversi investimenti in immobili come bar e tabacchi, con i soldi da ripulire delle cosche.
Accusato di essere il “cassiere della mafia”, di sicuro Corona lavorava come cassiere nel bar del cognato, la caffetteria Aurora. Ed è proprio all’interno del bar che è stata scattata una foto diventata praticamente virale nelle ore successive all’operazione antimafia: nell’istantanea si vede il gestore della caffetteria (cognato di Corona) insieme a Luigi Di Maio e Giancarlo Cancelleri. Corona nella foto non c’è. “Cancelleri e Di Maio – fanno sapere dall’ufficio stampa del M5s all’assemblea regionale siciliana – sono andati a prendere un caffè in quel bar dopo un incontro elettorale. I gestori, come spesso capita, chiesero una foto ricordo e non c’era alcun motivo per rifiutarla”. Il cognato di Corona sostiene di essere il proprietario della caffetteria ma per la procura era nelle disponibilità del presunto cassiere dei clan. Come molti altri locali in città compresi i bar Alba, i due storici punti di Mondello e Piazza don Bosco noti soprattutto per le arancine: nelle indagini infatti è finito Giuseppe Tarantino, il vecchio gestore per il quale è stato disposto dal gip il divieto di dimora a Palermo. Estranei alle indagini, invece, i nuovi soci del bar Alba. Per i pm, insieme a diverse tabaccherie, sarebbero state enormi lavatrici di denaro sporco accumulato col traffico degli stupefacenti. In questo – e cioè nel “lavare” i soldi – Corona era considerato il punto di riferimento per diverse famiglie.
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