Reggio Calabria, donna uccisa a Gallico: il vero obiettivo era l’amante

di Redazione

Quattro persone sono state fermate dalla polizia, nell’ambito dell’operazione “De Bello Gallico”, per l’omicidio, compiuto a Reggio Calabria lo scorso 16 marzo, della 48enne Fortunata Fortugno e il ferimento del 53enne Demetrio Lo Giudice. A distanza di quasi quattro mesi gli investigatori, ritengono che l’obiettivo dei killer fosse Lo Giudice, ritenuto un elemento di spicco della cosca Tegano, clan di ‘Ndrangheta che opera nella zona nord della città di Reggio Calabria, già coinvolto nell’operazione “Eremo”.

Dalle indagini – coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia e condotte dalla squadra mobile – è emerso che la coppia era seduta sul sedile posteriore del fuoristrada dell’uomo, in una zona isolata prossima al torrente Gallico, dell’omonimo quartiere reggino, quando arrivò, a velocità moderata, un’autovettura dalla quale scede un uomo che avrebbe poi esploso dai due ai quattro colpi di arma. Sebbene ferito gravemente, Lo Giudice riuscì lo stesso a mettere in moto l’autovettura e ad allontanarsi velocemente dal luogo dell’agguato mentre il killer gli sparava contro l’auto altri colpi. La corsa disperata verso l’ospedale non riuscì a salvare la vita alla donna che giunse al pronto soccorso già cadavere.

L’uomo, sopravvissuto all’agguato ed unico testimone del delitto, venne ascoltato dagli inquirenti ma non da queste non si riuscì ad individuare l’esecutore dell’omicidio o i mandanti, né l’ambito criminale in cui esso potesse essere maturato. Date però le modalità esecutive, tipicamente mafiose e la personalità di Lo Giudice non si poteva che propendere verso una riconducibilità a contesti della criminalità organizzata. Prendeva così gradualmente e fondatamente piede l’ipotesi che il vero obiettivo del killer fosse proprio lui. Neanche utili furono poi le informazioni assunte da altri soggetti che potenzialmente potevano essere in grado di riferire circostanze per ricostruire i fatti, in particolare quanto alla vita privata delle vittime. Neppure i dati acquisiti dall’analisi dei tabulati telefonici dei cellulari delle vittime avevano fornito dettagli per fare chiarezza. Senza elementi tecnici o testimonianze, la polizia avviò un’imponente attività di acquisizione delle immagini riprese dalla settantina di impianti di video sorveglianza installati nei luoghi prossimi e meno prossimi a quello in cui era stato perpetrato il delitto.

Sono state poi attivate divere attività intercettazione ambientale locale e veicolare, disposte dalla Dda, che hanno portato a trovare altri elementi che utili a identificare Paolo Chindemi, 28enne di Gallico, figlio di Pasquale Chindemi, ritenuto legato al gruppo Araniti del cartello di ‘ndrangheta condelliano e coinvolto, nel 2007, nella operazione “Bless”, assassinato tre mesi prima sempre a Gallico nel corso di un agguato quando i sicari gli spararono alle spalle mentre camminava per strada. Insieme a Paolo Chindemi sono stati arrestati lo zio Mario Chindemi, 50 anni, Santo Pellegrino, 32, ed Ettore Corrado Bilardi, detto “Pietro”, 66, ritenuti tutti esponenti di quello che è considerato dagli investigatori un gruppo mafioso emergente, aderente alla ‘ndrangheta. Sono accusati di associazione mafiosa; detenzione e di armi (pistole, revolver e fucili, clandestini e comuni da sparo) aggravati dalla modalità mafiose; detenzione illegale di segni distintivi e oggetti in uso ai Corpi di Polizia (quattro casacche della Dia e un giubbotto antiproiettile) aggravati dalle modalità mafiose; furto di motocicli aggravato anche dalle modalità mafiose. A Paolo Chindemi viene contestato l’omicidio e il tentato omicidio pluriaggravato anche dalle modalità mafiose (relativamente alla Fortugno e a Logiudice), e di detenzione e porto della pistola utilizzata per commetterlo.

Grazie alle intercettazioni ambientali è emerso che lo scopo fondamentale del sodalizio sarebbe stato quello di affermare a Gallico la propria leadership criminale conquistando spazi sempre più ampi, non esitando ad utilizzare le armi nelle loro azioni che erano indirizzate ad assumere il controllo delle attività estorsive ai danni di imprenditori e commercianti del posto, o anche per eliminare esponenti delle fazioni contrapposte. Ad alcuni componenti viene anche contestato un atto intimidatorio eseguito a Gallico lo scorso 22 maggio, quando furono esplosi alcuni colpi di fucile contro le serrande di due garage di un condominio di cinque piani.

Nel corso di una conversazione ambientale captata in auto tra gli indagati, si sarebbe fatto riferimento alla circostanza che la donna, durante l’agguato, si stesse voltando per guardare indietro quando fu colpita, e al fatto che la stessa fosse morta “per colpa dell’uomo con cui era in macchina”, al quale avrebbe fatto da scudo, salvandogli la vita. In un’altra conversazione, Chindemi avrebbe proprio “confessato” di aver commesso un omicidio.  Oltre alla detenzione e porto illegale in luogo pubblico delle armi sequestrate, sono stati contestati, a vario titolo, gli stessi delitti anche in relazione ad altre pistole e fucili ai quali gli indagati avrebbero fatto riferimento durante le intercettazioni ambientali, o che sarebbero stati ripresi dalle telecamere puntate dai poliziotti su alcuni siti usati come basi logistiche della consorteria. Inizialmente gli investigatori non avevano escluso la pista passionale, ma poi le parole di Chindemi, insieme ad altre risultanze che sono adesso al vaglio del gip che dovrà convalidare i fermi, hanno reso chiaro agli inquirenti che il vero bersaglio era Lo Giudice.

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