Pubblico e privato continuano a mescolarsi nella vicenda sentimentale, con risvolti penali, che vede coinvolto il sindaco di Cesa Enzo Guida (nella foto), del Pd, il padre e l’ex presidente del consiglio comunale Erika Alma, anch’essa del Pd, attuale compagna del primo cittadino. Nella giornata di ieri si è infatti dimesso dal Pd colui che illazioni infondate avevano indicato come il “nuovo compagno” dell’ex moglie di Guida, Raffaele Massimo De Michele. Dimissioni motivate, guarda caso, proprio dall’asserito abbandono di tutti gli organismi di partito che sarebbero stati indifferenti alle prevaricazioni e violenze commesse nei suoi confronti, anzi avrebbero addirittura pensato di mettere in atto l’espulsione.
“L’autenticità di un contesto democratico – scrive De Michele – impone un’immediata e chiara assunzione di responsabilità politica di un intero partito dinanzi alle gravi imputazioni di cui dovrà rispondere Vincenzo Guida”. Nello specifico, il sindaco cesano è presente in due procedimenti. Uno in concorso con il padre con richiesta di giudizio immediato ed uno con Alma. In quest’ultimo caso, la l’inchiesta si è conclusa la scorsa settimana con un richiesta di rinvio a giudizio per maltrattamenti in famiglia, atti persecutori, diffamazione, simulazione di reato, procurato allarme e danneggiamento. Quest’ultimo commesso in concorso con altro soggetto non noto. Richiesta di rinvio per Alma per diffamazione, atti persecutori, molestie con aggravanti per aver commesso i fatti in concorso con il primo cittadino. Insomma, un romanzo rosa scuro in salsa politica, con le opposizioni che hanno chiesto più volte le dimissioni di Guida che afferma di non volersi dimettere perché i procedimenti sarebbero estranei all’attività amministrativa.
La lettera di dimissioni inviata da De Michele – Ormai è trascorso un altro mese dalla mia richiesta al Partito Democratico di prendere una posizione netta in merito ai gravissimi comportamenti perpetrati nei miei confronti dal Guida Vincenzo, dalla compagna e dal padre dello stesso. Vi è stata l’emissione di una misura cautelare, a seguito della quale, nonostante fossi parte offesa, mi sono dimesso da dirigente locale per tutelare il partito, successivamente è stato emesso un decreto di giudizio immediato, poi ci sono stati ulteriori sviluppi giudiziari, ma nessuna risposta o iniziativa è stata assunta dal partito al riguardo. Le ragioni di tale silenzio sono state ricondotte genericamente all’asserita natura personale di quanto da me subito, ignorando come invece i gravi comportamenti di cui sono stato vittima si inseriscono in un contesto politico che normalizza e giustifica la violenza e la sopraffazione, dimenticando che gli stessi imputati iscritti al Pd, hanno inviato le missive anonime: ai dirigenti e tesserati locali del partito, ai membri delle opposizioni consiliari, a un assessore ancora in carica, oppure che i continui attacchi diffamatori si sono consumati durante riunioni politiche e in presenza di membri dell’attuale maggioranza.
L’autenticità di un contesto democratico, rispettoso dei diritti e della dignità di tutti e tutte impone un’immediata e chiara assunzione di responsabilità politica di un intero partito dinanzi alle gravi imputazioni di cui dovrà rispondere Vincenzo Guida. Al contrario, a fronte delle prime rassicurazioni ricevute, nei mesi, per me molto dolorosi, hanno prevalso l’indifferenza e valutazioni di strategia e opportunità, queste sì di natura personale, un atteggiamento che ha alimentato la prevaricazione e la violenza commessa ai miei danni, a partire da riunioni ad hoc convocate per deliberare la mia espulsione, fino all’escalation dell’azione persecutoria e diffamatoria consumata ai miei danni, della quale tutti i dirigenti locali sono a conoscenza. Non ha alcun senso promuovere eventi a sostegno degli immigrati, delle donne maltrattate, delle coppie di fatto, indossare scarpe e magliette rosse se poi si tollera la sopraffazione dei diritti personali di donne, uomini e bambini innocenti. In considerazione dell’inerzia che ha connotato i rappresentanti locali del Partito democratico dinanzi all’ingiustizia subita, aggravata proprio dall’assenza di un freno politico, sono costretto a dimettermi dal partito, in quanto luogo rivelatosi politicamente inadeguato a perseguire i valori di democraticità, rispetto, giustizia e rigore morale che guidano il mio agire personale e politico.