Salvatore Orabona, ex affiliato al clan dei casalesi, racconta agli inquirenti di essersi opposto alla vendita di armi al tunisino Mohamed Kamel Eddine Khemiri, residente a San Marcellino (Caserta), condannato in primo grado per terrorismo per la sua presunta appartenenza all’Isis attraverso attività di propaganda sui social network. Della vicenda, scaturita a seguito della pubblicazione delle motivazioni della sentenza di condanna del nordafricano, riferiscono “Il Mattino” ed il “Corriere del Mezzogiorno”.
Il tunisino fu arrestato nel 2016 nell’ambito di un indagine su un’organizzazione che forniva documenti falsi ai clandestini. Poi liberato e condannato ad 8 anni di reclusione. Orabona vide la sua foto sui giornali e lo riconobbe come l’uomo della richiesta dei kalashnikov. Il rifiuto, secondo quanto scritto dai giudici nella motivazione, sarebbe nato dal fatto che Orabona avrebbe “compreso i gravi scopi illeciti per i quali potevano essere utilizzati i kalashnikov”.
Orabona, approfondisce “Il Fatto Quotidiano”, ha raccontato i contatti avuti con il 43enne tunisino: “Un incontro in un bar con lui ed altri due nordafricani residenti in Italia da diverso tempo. Secondo Orabona, un affiliato del clan che viveva di estorsioni e riciclaggio, e di compravendita di armi e droga, Khemiri chiese i kalashnikov e le munizioni, gli altri due stranieri erano alla ricerca di una Mercedes”. “Siccome io già davo delle auto di Trentola Ducenta a un tale che si chiama Massimo ed è algerino di origine, questi mi fece incontrare dei suoi compaesani o tunisini che mi chiedevano delle auto. Quando abbiamo finito di parlare delle auto – ha testimoniato il pentito – mi hanno chiesto anche delle armi di tipo Kalashnikov. E io lì mi sono rifiutato, diciamo, di questa proposta delle armi, e gli ho detto: ‘io vi posso dare solo le auto’; le armi non gliele ho volute dare a queste persone”.
I giudici riassumono così: “Il teste, nonostante dichiarasse che dalla vendita delle armi fosse possibile ricavare anche 15mila euro per dieci pezzi, si rifiutava di venderle pensando agli eventuali scopi illeciti per cui potessero essere utilizzate da soggetti di nazionalità algerina o tunisina”. La condanna risale a fine giugno. Da allora Khemiri è in carcere in attesa che inizi il processo di appello.