I carabinieri per la Tutela del Lavoro di Firenze, nell’ambito delle indagini per il contrasto al fenomeno del caporalato, nella mattinata di mercoledì 12 settembre hanno tratto in arresto, tra le province di Perugia, Verona e Padova, tre persone ritenute responsabili di associazione per delinquere finalizzata alla commissione del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (cosiddetto “caporalato”), aggravato dalla violenza, dalla minaccia e dai maltrattamenti, nonché approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori (prevalentemente romeni ed albanesi).
Nel corso dell’operazione, ribattezzata “Agri Jobs”, sono state eseguite anche perquisizioni domiciliari in varie località del territorio nazionale e di studi di consulenza dei quali si avvalevano gli arrestati. Sequestrate, inoltre, due società cooperative riconducibili agli indagati ed al sequestro dei relativi conti correnti bancari, nonché di un mezzo utilizzato per commettere i reati contestati. Le indagini, coordinate dalla Procura di Firenze, hanno avuto origine dalla morte, il 7 novembre 2017, nelle campagne di Rufina (Firenze), di un cittadino romeno. I militari dell’Arma hanno avviato un’attività di indagine che ha consentito di identificare il “caporale”, cioè colui il quale fungeva da caposquadra che è stato trovato in possesso di appunti su cui erano annotati i programmi ed i luoghi di lavoro, i nominativi del personale impiegato, la paga (che variava dai 4 ai 5 euro all’ora) e finanche i mezzi di trasporto da essi utilizzati.
L’ulteriore attività investigativa ha consentito di acclarare che il “caporale” a sua volta faceva capo ad un altro soggetto, vertice dell’organizzazione. E’ stato possibile delineare l’esistenza di una associazione per delinquere. In particolare, è stato individuato il soggetto principale, che aveva costituito una struttura stabile per la commissione dei reati contestati, utilizzando, per la gestione dei lavoratori, due società cooperative, nonché due immobili adibiti a dimora dei lavoratori e veicoli per il trasporto verso e dai luoghi di lavoro.
Il soggetto a vertice dell’organizzazione, coordinava l’attività per il reclutamento dei lavoratori, facendoli giungere in Italia dalla Romania e dall’Albania, per l’organizzazione dei turni di lavoro, per i pagamenti e l’elusione dei controlli ispettivi in materia di lavoro. In più occasioni questi si è attivato per prendere tempo ed esibire alla polizia giudiziaria documenti falsi e redatti mentre il controllo era in atto e, successivamente al controllo, per “aggiustare” le dichiarazioni circa il numero di ore lavorate. I lavoratori reclutati erano poi destinati ad essere impiegati, soprattutto in agricoltura, ma anche in edilizia, presso imprese in varie località del territorio nazionale (prevalentemente in Toscana e in Veneto) ma anche in Svizzera.
Nell’ambito delle verifiche è emerso che le vittime versavano in stato di bisogno, in quanto privi di adeguati mezzi di sostentamento, venivano retribuiti con 5 euro all’ora, lavorando anche 11 ore al giorno, e comunque per un numero di giornate inferiore a quelle effettive e senza conteggio di straordinari, senza ricevere alcun prospetto paga e talvolta senza neppure un contratto di assunzione, oltre che in violazione di norme in materia di igiene e sicurezza (visite mediche e corsi di formazione), dormendo in un’abitazione messa a disposizione dalla cooperativa e per la cui sistemazione pagavano anche l’affitto. Taluni venivano minacciati, subordinando il pagamento integrale della retribuzione all’espletamento dell’intero periodo previsto. Accertato, tra l’altro, il mancato versamento dei contributi previdenziali Inps per un ammontare di circa 500mila euro.
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