‘Ndrangheta, 18 fermi nel Reggino: c’è anche un sindaco

di Redazione

Una vasta operazione dei carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabriaha coinvolto diversi appartenenti alla cosca Alvaro di Sinopoli. Tra le 18 persone fermate ci sono anche il sindaco del Comune aspromontano di Delianuova, Francesco Rossi, e due imprenditori. Le accuse, a vario titolo, sono di associazione mafiosa, estorsione, truffa aggravata, trasferimento fraudolento di valori, aggravati dal metodo e dalle finalità mafiose.  Le indagini dei carabinieri hanno fatto luce sugli interessi criminali della cosca Alvaro, una delle più agguerrite del mandamento tirrenico della ‘ndrangheta reggina, in grado di infiltrare enti pubblici e amministrazioni locali per influenzarne le scelte e acquisire illecitamente appalti e finanziamenti pubblici.

I fermati sono: Raffaele Alvaro, 53 anni, alias “Pagghiazza”; Carmine Alvaro, 59, alias “u Bruzzise”; Giuseppe Alvaro, 75, alias “u Trappiratur”; Carmine Alvato, 47, alias “u Limbici”; Domenico Alvaro, 41; Carmelo Alvaro, 58, alias “Carmine Bin Laden”; Paolo Alvaro, 30; Giuseppe La Capria, 39; Francesco Rossi, 61; Rocco Rugnetta, 35; Antonio Bonforte, 61, alias “u Topu”; Saverio Napoli, 50; Rocco Calabrò, 50; Francesco Paolo Sergio, 29; Domenico Rugolino, 52; Giuseppe Foti, 63; Sebastiano Callea, 61; Giuseppe Alvaro, 86, alias “u Rugnusu”, finito ai domiciliari.

L’indagine, condotta dal nucleo investigativo dei Carabinieri di Reggio Calabria e coordinata dal procuratore aggiunto Calogero Gaetano Paci e dal sostituto procuratore Giulia Pantano, è stata avviata nell’estate del 2013 e ha consentito di delineare con straordinaria chiarezza gli assetti attuali e gli interessi criminali della cosca Alvaro, una delle più agguerrite cosche del mandamento tirrenico della ‘ndrangheta, di documentarne le cointeressenze con articolazioni degli altri mandamenti della provincia reggina, suffragare il ruolo egemone della famiglia Alvaro nell’arca ricompresa tra i comuni di Oppido Mamertina, Sinopoli, Delianuova e Cosoleto.

Le acquisizioni investigative più rilevanti ruotano intorno ad un casolare di contrada Scifà di Sinopoli: ubicata lungo la strada statale 183 che collega Gambarie a Delianuova, “la casetta” – così indicata dagli indagati – costituisce un luogo nevralgico per la cosca Alvaro, connotato da continue riunioni, mascherate da “mangiate”, e da un andirivieni costante di esponenti di tutti i mandamenti di ‘ndrangheta presenti nella provincia di Reggio Calabria. Il monitoraggio della “casetta” ha soprattutto permesso di delineare compiutamente l’organigramma della famiglia Alvaro, confermando le acquisizioni del procedimento “Provvidenza” riguardo alla figura di Carmine Alvaro, 50 anni, soprannominato “U Pulice”, indiscusso capocosca detenuto colpito dal provvedimento cautelare che nel gennaio 2017 ha interessato le principali cosche della Piana di Gioia Tauro. Figure di spicco sono i cugini di Carmine, i fratelli Antonio, Raffaele e Carmine (“u Bruzzise”) Alvaro, che coordinano le attività criminali degli affiliati subordinati ed organizzano gli incontri con i referenti mafiosi di altre articolazioni territoriali della ndrangheta che chiedono di parlare con Alvaro Carmine “U Pulice”.

Alle figure di maggior rilievo se ne affiancano altre: numerosi affiliati, alcuni dei quali già condannati per reati associativi in altri procedimenti, come Giuseppe Alvaro (“u Rugnusu”), Giuseppe Alvaro (“u Trappitaru”), Carmine Alvaro (“u Limbici”), Carmelo Alvaro (“Carmine Bin Laden”), Domenico Alvaro, Paolo Alvaro (30 anni), Antonino Bonforte “u Topu”), Rocco Calabrò, Francesco Paolo Sergio e Giuseppe La Capria. Al casolare di contrada Scifà è stata registrata la presenza di esponenti di blasonate cosche della provincia di Reggio Calabria, quali i Pelle-Gambazza di San Luca, dei Mollica di Africo, dei Rugolino di Catona, Tetto di Natile di Careri, Condello di Varapodio, Callea di Orti, Morabito (De Stefano) di Archi, Scopelliti di Melia di Scilla, senza tralasciare le cointeressenze con altri casati tra i quali i Guadagnino e i Papalia di Delianuova, i Mazzagatti di Oppido Mamertina e Larosa di Giffone. Tra questi, tre sono stati raggiunti dall’odierna misura: Domenico Rugolino, capo dell’omonima cosca operante nei quartieri reggini di Catona, Arghillà, Villa San Giuseppe, Rosali e Spontone, insieme a Giuseppe Foti, suo subordinato, e SebastianoCallea, esponente di spicco della cosca Condello Imerti, operante nel quartiere Orti di Reggio Calabria, ai quali viene contestata pure la stretta vicinanza alla cosca di Sinopoli, attestata dalla frequente presenza presso il “quartier generale” di contrada Scifà per condividere le strategie criminali, concordando la spartizione degli interessi illeciti e le modalità di aggressione al tessuto economico del territorio.

L’indagine ha permesso di documentare compiutamente gli interessi criminali della cosca Alvaro e di quelle che con esse si sono accordate. È il caso, in particolare, della riscossione del “pizzo” per i “lavori di difesa costiera tra Cannitello e Santa Trada ed in particolare in difesa del centro abitato di Porticello” nel comune di Villa San Giovanni, bandito dalla Provincia per un importo complessivo pari a 1,7 milioni di euro, per la ricarica della barriera soffolta già esistente e la realizzazione di nuovi tratti a protezione dell’abitato, particolarmente esposto alle mareggiate e al fenomeno erosivo della costa.

Aspetto di particolare valenza investigativa è il documentato accordo tra diverse compagini ‘ndranghetiste: l’illecita dazione è infatti spartita tra famiglie mafiose che si estendono su un territorio vasto che va da Sinopoli, passando per Villa San Giovanni fino a raggiungere Archi di Reggio Calabria: protagonista della vicenda è Domenico Calabrese – già coinvolto nell’indagine “Sansone”, uomo inserito nella cosca Zito-Bertuca ma vicino agli Alvaro che, in qualità di diretto esecutore delle disposizioni impartite da Raffaele Alvaro, per conto di Alvaro “u Pulice”, ha riscosso i proventi dell’estorsione ai danni della ditta aggiudicataria dell’appalto provinciale e ne ha consegnato materialmente quota parte proprio alle “famiglie” di Sinopoli e di Archi.

L’episodio, però, che maggiormente testimonia la capacità di infiltrazione della cosca Alvaro è quello inerente i lavori di realizzazione dell’elettrodotto Sorgente-Rizziconi, opera pubblica di interesse nazionale in ragione della finalità di garantire la sicurezza della connessione della rete elettrica siciliana a quella peninsulare per ridurre il rischio di blackout in Sicilia, incrementando la capacità di trasporto tra la Sicilia e il continente. In questo caso, le mire imprenditoriali del sodalizio criminale sono state estremamente pervasive e rivolte direttamente ai settori più remunerativi – movimento terra, trasporto, fornitura di inerti, mezzi e manodopera- arrivando ad assicurare il controllo del cantiere ed ottenendo introiti diretti e indiretti, attraverso le ditte riconducibili al sodalizio, incaricate delle varie forniture e dei numerosi noli.

Di fatto l’indagine ha posto in evidenza l’esistenza di un vero e proprio “accordo” tra la Roda Spa, impresa aggiudicatrice dei contratti da Terna Spa, e alcune ditte di Sinopoli, Sant’Eufemia e San Procopio, tutte collegate o riconducibili agli Alvaro. Emissari della cosca sono due imprenditori, Saverio Napoli (amministratore di fatto della impresa della ditta Costruzioni Flores Eufemia srl) e Rocco Rugnetta (amministratore di fatto della Rr Appalti & Costruzioni srl), che hanno tenuto i contatti con i rappresentanti della Roda Spa e hanno materialmente imposto le ditte subappaltatrici, i fornitori di ferro e calcestruzzo e i servizi di cantiere in genere, assegnati, su disposizione del clan, a ditte “gradite” e ovviamente a prezzi e condizioni più sfavorevoli rispetto a quelli di mercato. In particolare, Rugnetta assume il ruolo di garante della “sicurezza ambientale”, ‘”proteggendo” le ditte Terna e Roda – rispettivamente committente e appaltatrice – da danneggiamenti o intimidazioni; ma è anche il “mediatore” con la pubblica amministrazione per la risoluzione di problematiche legate a violazioni di carattere amministrativo riscontrate dal Comune di Sinopoli nel suddetto cantiere, intervenendo e, in definitiva, facendo distruggere i relativi verbali di accertamento e contestazione di alcune infrazioni elevate a carico della Roda Spa.

A conferma dell’elevata caratura criminale raggiunta dagli Alvaro è il dato relativo alla totale assenza, nel corso dei lavori relativi all’appalto, di episodi di danneggiamento e atti intimidatori; aspetto, quest’ultimo, tanto più emblematico in considerazione dell’alta densità mafiosa dell’ampio contesto territoriale interessato dall’appalto. In più occasioni sono le ditte del territorio a rivolgersi agli Alvaro per chiedere di essere incluse nelle imprese interessate dalle forniture di beni e servizi, cosi riconoscendo di fatto alla ‘ndrangheta il potere di regolamentazione dell’accesso ai subcontratti e, più in generale, il controllo sulle attività economico-produttive nei territori in cui insiste la realizzazione dell’opera pubblica.

Documentata, inoltre, la capacità degli Alvaro nelle scelte della pubblica amministrazione, in relazione all’attività dei comuni di Sinopoli – con riferimento al già menzionato intervento di Rugnetta per la distruzione dei verbali di contestazione elevati alla ditta impegnata nella realizzazione dell’elettrodotto – e, soprattutto, di Delianuova. Riguardo agli interessi mafiosi su quel comune, centrale si rivela la figura di Francesco Rossi, all’epoca vicesindaco e assessore ai lavori pubblici (oggi sindaco di Delianuova e consigliere della Città Metropolitana di Reggio Calabria), anch’egli tra i frequentatori di contrada Scifà: in particolare, nell’ottobre 2013 partecipava ad una riunione in cui affrontava con gli Alvaro – in un clima di piena sintonia e unità di intenti con i vertici del sodalizio – questioni relative agli appalti e finanziamenti pubblici e, più in generale, a problematiche del centro urbano di Delianuova su cui la cosca esercitava la propria influenza mafiosa.

In particolare, Franco Rossi aveva richiesto un intervento degli Alvaro su alcuni soggetti che ostacolavano la sua gestione amministrativa adducendo presunte violazioni dei patti pre-elettorali da parte del Rossi nella definizione del piano regolatore comunale e della lottizzazione della zona di Carmelia, per condurre alla caduta del governo locale nel tentativo di porsi poi in prima persona alla guida di quella amministrazione comunale. Rossi, in pratica, aveva deciso di portare sul tavolo dei suoi interlocutori mafiosi le diverse questioni che avevano generato gli attriti in seno all’amministrazione comunale, affinché le figure apicali della cosca Alvaro si esprimessero nel merito, rinnovando il sostegno a Rossi e interrompendo le condotte ostruzionistiche dei suoi oppositori. In definitiva, l’allora vicesindaco e assessore Rossi ha incarnato il ruolo di referente politico della cosca Alvaro in seno all’amministrazione comunale di Delianuova, “collocato” nella carica pubblica dalla ‘ndrangheta per farne gli interessi.

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