Francesco Amato, imputato condannato pochi giorni fa nel maxi-processo di ‘ndrangheta “Aemilia” si è asserragliato dentro l’ufficio postale di Pieve Modolena, frazione di Reggio Emilia, con un coltello. L’uomo si era reso irreperibile dopo la sentenza. E’ entrato urlando “vi ammazzo tutti” e poi ha fatto uscire tutti i clienti, tenendo in ostaggio cinque dipendenti, tra i quali la direttrice. Una donna, dopo circa un’ora è stata rilasciata e appena fuori dal locale ha avuto un malore. Imminente il blitz delle teste di cuoio.
“Vi ammazzo tutti”, con questa minaccia Francesco Amato è entrato nell’ufficio e ha preso in ostaggio cinque donne, quattro impiegate e la direttrice, nella filiale delle Poste di Pieve Modolena (Reggio Emilia). Una di loro ad un certo punto si è sentita male e Amato l’ha fatta uscire perché fosse soccorsa. I contatti sarebbero tenuti con l’uomo dai carabinieri, in particolare da un militare, sulla soglia dell’edificio, che fa da tramite. “Voglio parlare con Salvini”. Così Amato ha chiesto di parlare con il ministro dell’Interno, Matteo Salvini. Lo riferiscono i carabinieri che stanno conducendo le trattative per la liberazione degli ostaggi.
“Siamo chiusi dentro. Il signor Amato vuole parlare con Salvini. Lo vedo. Sono all’interno, il signor Amato sta parlando: vuole Salvini. Parla con i carabinieri, con noi. Ha un coltello in mano. Io lavoro qui, siamo in quattro. Il signore è qui da parecchie ore. Ha detto che se apriamo la porta qualcuno fa una brutta fine e quindi siamo trincerati dentro”. Lo ha affermato uno degli ostaggi in un’intervista al giornale radio Rai.
Francesco Amato, 55 anni, è stato condannato il 31 ottobre a 19 anni e un mese di reclusione nel processo Aemilia, con l’accusa di essere uno degli organizzatori dell’associazione ‘ndranghetistica. Assieme al fratello Alfredo, secondo i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Bologna era “costantemente in contatto con gli altri associati (e della famiglia Grande Aracri) in particolare per la commissione su richiesta di delitto di danneggiamento o minaccia a fini estorsivi, commettendo una serie di reati”. Nel 2016, all’inizio del processo, lo stesso Amato aveva affisso un cartellone provocatorio davanti al tribunale di Reggio Emilia, scritto a pennarello e pieno di invettive. Amato si era autodenunciato poi in aula definendosi l’autore di quel cartellone in cui, diceva, “era anche contenuto il nome dell’autore delle presunte minacce al presidente del tribunale di Reggio Emilia Cristina Beretti”, per le quali sono state arrestate nelle scorse settimane due persone, tra le quali un sacerdote.
Il processo Aemilia ha visto il 31 ottobre la conclusione del suo dibattimento, con 118 condanne per oltre 1.200 anni di carcere e altre 24 in abbreviato: tra questi anche l’ex calciatore Vincenzo Iaquinta (due anni per reati di armi, ma senza aggravante mafiosa) e 19 per il padre Giuseppe. Sempre in abbreviato, sono già definitive in Cassazione le condanne per i promotori dell’associazione a delinquere di stampo mafioso contestata dalla Dda, che nel 2015 fece scattare oltre 160 arresti, assestando un forte colpo alla “‘ndrangheta imprenditrice”.
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