La Guardia di Finanza di Riva del Garda (Trento), nel corso dell’operazione “Giardino Orientale”, ha eseguito ieri due misure di custodia cautelare in carcere, emesse dal Tribunale di Rovereto nei confronti di due imprenditori cinesi titolari di un ristorante orientale. Si tratta di C.F., 30 anni, alias Yuri, e W.F., 35 anni, alias Colfù, rispettivamente titolare e socio di una società, la R.S.K. srl, che gestisce un ristorante in franchising di un marchio di ristorazione orientale, con l’accusa di sfruttamento aggravato del lavoro ed estorsione nei confronti di dodici lavoratori pakistani regolarmente residenti in Italia.
Le indagini, partite qualche mese fa dagli sviluppi di alcuni controlli sul lavoro nero e irregolare condotti nell’Alto Garda, hanno consentito di puntare i riflettori sulla società, con sede legale a Firenze ed amministrativa e luogo di esercizio a Riva del Garda, i cui titolare e socio principale avevano impiantato un sistema criminoso finalizzato al reclutamento di manodopera in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno e necessità dei lavoratori, mediante la corresponsione di retribuzioni difformi rispetto ai contratti collettivi di lavoro riconosciuti a livello nazionale e la sottoposizione a condizioni lavorative e alloggiative degradanti.
Il sistema, iniziato nel 2016, era così articolato: attraverso il passaparola o con contatti diretti, C.F. e W.F. avvicinavano stranieri regolari in evidente stato di bisogno e in ristrettezze economiche, proponendo lavori, nel proprio ristorante, con contratti a tempo determinato per 40 ore settimanali (sette ore al giorno per cinque giorni ed una giornata da cinque ore), che comprendevano la possibilità di fruire dei riposi previsti nonché di vitto e alloggio. Ma la realtà dei fatti era diversa: non venivano mai concessi i riposi settimanali e le ferie, obbligando i lavoratori a una pausa pranzo di soli quindici minuti, e venivano decurtati significativi importi in caso di malattia o assenza dal lavoro; fino a giugno 2018, i pagamenti avvenivano in contanti, poi, con la recente introduzione dell’obbligo del tracciamento bancario, venivano effettuati per l’intero importo della busta paga ma i lavoratori erano costretti a restituire, dietro minaccia di licenziamento, la parte di importo eccedente gli 800 euro; il costo del vitto era decurtato, per una somma pari a 100 euro, dallo stipendio realmente percepito ed il pasto consisteva in farina per piadine e una modica quantità di pollo, uova e verdura una volta alla settimana; all’atto dell’assunzione, i lavoratori erano costretti a firmare fogli in bianco, sui quali, come minaccia, veniva loro detto che avrebbero potuto essere scritte dichiarazioni attestanti le loro dimissioni o richieste di aspettativa non retribuita.
In totale sono 12 i lavoratori pakistani individuati dalle Fiamme gialle oggetto di sfruttamento: gli stessi erano anche costretti ad alloggiare in un appartamento di Riva del Garda di circa 90 metri quadrati con un unico bagno, regolarmente affittato e abitato da Colfù, dove venivano stipati in condizioni igienico sanitarie precarie, obbligati per lo più a dormire su pagliericci improvvisati sul pavimento, mentre Colfù aveva una stanzetta riservata. Per tale sistemazione, i lavoratori si vedevano trattenere ulteriori 100 euro a testa, con un guadagno netto di Colfù di ben 500 euro sul costo del canone, all’insaputa del locatore.
Emblematico il caso di P.A., 29 anni, pakistano, licenziato nel 2018 per essersi rifiutato di restituire il denaro eccedente gli 800 euro di stipendio nonché́ 27 euro per ogni giornata di malattia dovuta all’insorgenza di piaghe ai piedi, conseguenza dell’insostenibile orario di lavoro imposto. Dopo essere ricorsi a una lettera di dimissioni volontarie riportante la falsa firma di P.A., Yuri e Colfù lo hanno costretto a lasciare l’alloggio e P.A. si è trovato a vivere in condizioni precarie e a dormire anche sulle panchine della città.
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