I trafficanti di migranti nel Canale di Sicilia escogitano nuove strategie per trasferire i migranti dalle coste del Nord Africa a quelle siciliane. Le organizzazioni criminali dedite al favoreggiamento e allo sfruttamento dell’immigrazione illegale sembrano aver adottato nuove modalità operative. In particolare, per le provenienze dalla fascia costiera compresa tra il confine libico tunisino, i trafficanti utilizzano grosse barche da pesca in grado di trasportare o trainare una lancia di servizio per agevolare la traversata di gruppi di poche decine di migranti, che vengono abbandonati fuori dalle acque territoriali italiane a bordo delle imbarcazioni minori, con le quali raggiungere, generalmente, l’isola di Lampedusa.
Anche lo scorso 22 novembre, un motopeschereccio libico di base a Zuwara navigava con al traino una barca in legno vuota, di quelle normalmente utilizzate per distendere le reti, in direzione dell’arcipelago delle Pelagie. Un aereo da ricognizione operante per l’Agenzia Europea Frontex operante su indicazione della Direzione Centrale dell’Immigrazione della Polizia delle Frontiere del Ministero dell’Interno e successivamente un elicottero della Marina Militare imbarcato su Nave Carabiniere, inquadrata nel dispositivo Mare Sicuro, lo hanno localizzato in mare aperto a circa 50 miglia a sud di Lampedusa, documentandone fotograficamente l’attività.
Di lì a poco, in un nuovo passaggio del velivolo, il natante di servizio non era più vincolato al peschereccio, che intanto aveva invertito la rotta, e procedeva carico di persone verso l’isola, distante ormai una quarantina di miglia. L’osservazione aerea, debitamente comprovata dalle riprese video, dimostrava inequivocabilmente il nesso tra l’episodio migratorio ed il ben più grave reato di favoreggiamento aggravato dell’immigrazione illegale, quindi, grazie all’immediato raccordo informativo prodotto dal Centro Nazionale di Coordinamento della Direzione Centrale dell’Immigrazione della Polizia delle Frontiere nonché́ operativo dell’International Coordination Center di Frontex, istituito presso il Comando Operativo Aeronavale della Guardia di Finanza, veniva attivato un dispositivo navale diretto dal Reparto Operativo Aeronavale di Palermo, che potendo avvalersi, grazie all’alta direzione e coordinamento della Direzione Centrale, in aggiunta alle proprie risorse, della collaborazione di uomini e mezzi resi disponibili dal Comando Generale delle Capitanerie di Porto e dal Comando in Capo della Squadra Navale della Marina Militare, veniva schierato in parte al limite delle acque territoriali per impedire l’ingresso incontrollato dei migranti sul territorio nazionale. In particolare Nave Carabiniere della Marina Militare si disponeva all’inseguimento del peschereccio impedendone l’ingresso nelle acque territoriali di uno dei Paesi nordafricani.
Non appena i migranti superavano il confine marittimo italiano, gli uomini delle Fiamme Gialle, in costante contatto con la Procura della Repubblica di Agrigento che dirigeva le operazioni di polizia giudiziaria, procedevano con il concorso di un’unità navale della Capitaneria di Porto al fermo degli stessi che venivano condotti presso il locale hot spot e avviati alle procedure di identificazione, accoglienza e sottoposti ai rilievi di polizia. Contestualmente, il peschereccio “madre” giunto ormai, a notte inoltrata, a 35 miglia dalle coste libiche, veniva riconosciuto inequivocabilmente come quello che poco prima aveva trasportato i migranti, per questo, il personale del team d’abbordaggio del Guardacoste della Guardia di Finanza, sotto la protezione ravvicinata di un team di fucilieri della Brigata Marina San Marco, imbarcato su Nave Carabiniere, ne prendeva il controllo.
L’imbarcazione, quindi, veniva agganciata al traino del Pattugliatore Multiruolo “Monte Cimone” della Guardia di Finanza di Messina inviato sul posto in supporto alle operazioni e condotta nel porto di Lampedusa per lo svolgimento dei necessari approfondimenti investigativi. Giunti all’hot spot di Lampedusa venivano avviate, in piena sinergia, le indagini a cura della Squadra Mobile della Polizia di Stato di Agrigento, della locale Brigata della Guardia di Finanza e del personale dello stesso Corpo imbarcato sulle unità navali che aveva eseguito i fermi in mare. Al termine dei riscontri investigativi, le sei persone componenti l’equipaggio del peschereccio, di nazionalità egiziana, venivano sottoposti a fermo con l’accusa di favoreggiamento aggravato dell’immigrazione illegale, il peschereccio veniva sottoposto a sequestro, mentre per i 68 migranti di provenienza bengalese, egiziana e marocchina, venivano avviate, caso per caso, le pertinenti procedure che condurranno alla loro espulsione o accoglienza.
La piena e fattiva sinergia tra le varie amministrazioni dello Stato, ognuna per la parte di propria competenza, ha permesso la buona riuscita della complessa ed articolata attività di polizia di alto mare a conferma della validità delle procedure in vigore tra le Istituzioni coinvolte.
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