Era stato assolto in primo grado dall’accusa di collusione con il clan dei Casalesi, ma poi condannato in appello in seguito alle dichiarazioni accusatorie formulate nei suoi confronti da Nicola Schiavone, boss primogenito del capoclan Francesco «Sandokan» Schiavone. Per questo motivo Gianni Morico, imprenditore casertano titolare di numerosi panifici con punti vendita sparsi sul territorio, è tornato in carcere; sono stati i carabinieri della Compagnia di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) ad arrestarlo su ordine della Corte d’Appello di Napoli, che a dicembre aveva condannato Morico a sei anni e otto mesi per concorso esterno in associazione camorristica. Dopo la sentenza, la Procura Generale di Napoli aveva richiesto l’arresto di Morico, e i giudici lo hanno concesso.
Morico, già arrestato nel 2016 e poi assolto in primo grado dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, è stato condannato in appello in seguito alla decisiva testimonianza resa da Nicola Schiavone, divenuto collaboratore di giustizia; il figlio del capoclan dei Casalesi ha raccontato come l’imprenditore avesse messo a disposizione del clan il suo marchio, noto in tutto il Casertano; di ciò aveva approfittato l’affiliato Nicola Del Villano, anch’egli arrestato dai carabinieri dopo la condanna in appello a 11 anni. Del Villano aprì infatti un punto vendita con il marchio Morico.
«Sono anni che denunciamo le influenze della camorra nel mondo della panificazione, ora i nodi stanno venendo a pettine» è il commento dei Verdi della campania col consigliere regionale Francesco Borrelli assieme all’Unipan presieduto da Domenico Filosa: «L’arresto di Gianni Morico, considerato il “re del pane” di Caserta, condannato dalla Corte di Appello di Napoli per i rapporti con i Casalesi, non fa altro che rinforzare le nostre tesi: il pane della camorra esiste ed è un fenomeno che va combattuto con tutte le forze. Quando parlavamo degli interessi della camorra nella filiera della panificazione e del pane immangiabile distribuito dalle grandi catene alimentari venivamo trattati con indifferenza o ironia. Sottolineiamo la gravità delle dichiarazioni di Nicola Schiavone, collaboratore di giustizia e il figlio del capoclan dei Casalesi, che ha raccontato di come l’imprenditore avesse messo a disposizione del clan il suo marchio. In pratica una joint venture criminale che metteva a repentaglio la salute dei cittadini».