Su delega della Direzione distrettuale antimafia della Procura di Catania, la Polizia di Stato ha dato esecuzione ad un’ordinanza applicativa di misura cautelare, emessa il 2 marzo scorso dal giudice per le indagini preliminari del tribunale siciliano, nei confronti di 4 extracomunitari africani residenti nel Casertano. Si tratta di: Helen Ihama, 42 anni, detta “Helen”, arrestata a Gricignano di Aversa; Eddy Ihama, 36, detto “Daddy”, arrestato a Frignano; Epios Amolwi, 31, detto “Infoma”, arrestato a Frignano; e Juliet Eghianruwa, 25, detta “Agadda” e “Mamma di Destiny”, arrestata a Casapesenna.
I quattro sono ritenuti responsabili, a vario titolo, in concorso con altri soggetti allo stato non identificati in Nigeria e in Libia, del delitto di tratta di persone pluriaggravato dalla transnazionalità del reato, dall’aver agito in danno di minori, esponendo le persone offese ad un grave pericolo per la vita e l’integrità fisica (avendo fatto loro attraversare il continente di origine sotto il controllo di criminali, che le sottoponevano a privazioni di ogni genere e a diverse forme di violenza, facendole giungere in Italia via mare a bordo di imbarcazioni occupate da moltissimi migranti, esponendole ad un altissimo rischio di naufragio) nonché dei delitti di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e di sfruttamento della prostituzione.
Gli indagati sono stati rintracciati nelle rispettive abitazioni site sul territorio casertano dagli agenti della Squadra mobile di Catania, in collaborazione con la Squadra mobile di Caserta. L’indagine, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catania e condotta dagli investigatori della Squadra mobile etnea, traeva origine dalle dichiarazioni rese da una giovane cittadina nigeriana “Onda” (nome di fantasia, ndr.), giunta al porto di Catania il 1 luglio 2016 a bordo della nave della Guardia Costiera Italiana “Luigi Dattilo – CP 940”, insieme ad altri 359 migranti di varie nazionalità. Dal racconto di “Onda”, all’epoca minorenne, si apprendeva che la ragazza era stata reclutata nel paese di origine con la falsa promessa di una occupazione lavorativa lecita da svolgere in Italia presso la sorella della donna che l’aveva reclutata: dopo essere stata sottoposta al rito esoterico ju-ju, con il quale si era impegnata a ripagare il debito di ingaggio contratto pari a circa 20mila euro, aveva lasciato la Nigeria e, attraverso la Libia, era giunta in Italia nel mese di luglio 2016.
Arrivata sul territorio nazionale la minore era stata contattata dalla “madame” che l’attendeva in Italia: la donna le aveva preannunciato che avrebbe provveduto a prelevarla dal centro di accoglienza ove era stata collocata per avviarla alla prostituzione su strada al fine di saldare il debito d’ingaggio contratto in madrepatria. L’attività tecnica avviata dagli investigatori permetteva di identificare la madame di Onda nell’indagata Helen Ihama e di appurare, inoltre, che la stessa minore non era un affare isolato poiché Ihama aveva reclutato altre connazionali già “messe a reddito” nel settore della prostituzione su strada e aveva, altresì, il controllo di numerose postazioni lavorative nel casertano che concedeva in godimento a connazionali in cambio di un corrispettivo mensile in denaro pari a circa 100 euro (postazione che veniva chiamata “Ugbo” ovvero “il terreno” ad indicare proprio i pochi metri di strada assegnati).
Venivano identificati, poi, gli altri indagati (alcuni dei quali legati alla Ihama da rapporti di parentela o affinità, come il di lei fratello Eddy Ihama e la moglie di questo ultimo, Epios Amolwi, detta “Infoma”, ovvero semplicemente “colleghe” nel settore criminale come Juliet Eghianruwa) che risultavano svolgere la stessa illecita attività della Ihama nel settore della tratta di esseri umani e con essa in costante contatto anche per commentare l’andamento dei reciproci affari. La Ihama, infatti, oltre a gestire le proprie vittime di tratta, come si è detto concedeva in godimento le postazioni su strada ad altre ragazze vittime di altre madame, sicché dette vittime risultavano onerate del pagamento del debito di ingaggio, delle spese di vitto e alloggio alle madame che le ospitavano e del pagamento del posto di lavoro alla Ihama.
Al pari della Ihama risultavano coinvolti nell’illecito business, anche il fratello Eddy e la moglie, Epios, i quali avevano reclutato e fatto giungere in Italia la connazionale “Baba” (altro nome di fantasia, ndr.) e l’avevano poi immessa nel circuito della prostituzione su strada onde appropriarsi dei guadagni del meretricio della giovane nonché anche l’indagata Juliet Eghianruwa che aveva reclutato e trasferito in Italia una giovanissima connazionale “Maya” – nome di fantasia, n.d.r – la quale si prostituiva in una delle postazioni controllate dalla Ihama.
Di particolare interesse investigativo risultavano i commenti degli indagati in merito agli effetti dell’editto dell’Oba di Edo State Ewuare II, proclamato prima dell’inizio delle indagini, commenti registrati in costanza di attività captativa: con tale editto, infatti, l’Oba aveva “annullato” gli effetti dei riti Ju-Ju celebrati per vincolare le vittime all’ubbidienza nei confronti delle proprie madame e ciò metteva evidentemente a rischio il potere di coercizione esercitato per costringere le giovani all’osservanza. Al riguardo alcuni degli indagati, preoccupati delle possibili ripercussioni dell’editto sull’andamento dei loro affari, proponevano peculiari interpretazioni affermando che l’Editto –al pari della legge- non potesse avere effetto retroattivo e non potesse applicarsi alle vittime già sottoposte a sfruttamento in Europa e già sottoposte in precedenza al rito Ju-Ju, altresì affermavano con certezza che l’Editto potesse valere solo per i cittadini di Edo State e non già per tutti i cittadini nigeriani (“le regole di Oba devono essere interpretate per bene !!! perché’ Oba non ha mai parlato di annullare i debiti…e poi…costi quel che costi, io voglio che mi venga scontato il debito!!!…Oba non ha mai detto a nessuna ragazza che già si trova qua (in Italia ndr) di non pagare il proprio debito !!!…” Infatti! E poi…a me non importa di quello che dice Oba!!! tanto io non sono di Benin!!!”).