Aversa, la poesia di Giovanni Vanacore vola tra i “cieli” con 9999 parole

di Redazione

Il libro di Giovanni Vanacore, “La fine dell’era dei fiori”, sembra la costruzione di un profondo percorso fatto di sole parole; ma la questione è molto più complessa di quanto può sembrare. Il libro è strutturato in maniera insolita e originale, in cui ogni “capitolo” – se proprio si possono definire tali – è rappresentato da un “cielo”. 20enne aversano già al suo secondo libro, Vanacore prende in prestito dal sommo Dante la struttura del Paradiso, da cui ricava la parola cielo. Ogni cielo ha la sua tematica che viene affrontata non in forma di trattato, ma attraverso il ricorso del mezzo poetico.

L’autore tenta di spezzare la trattazione di determinate questioni attuali e filosofiche, mediante artifici poetici; il che renderebbe tutto molto curioso e oggetto di grande interesse. Il libro, tuttavia, si apre con una breve premessa dell’autore, come se esortasse il lettore a scendere nelle profondità dello scritto, senza fermarsi alla superficie. Quindi il giovane poeta invita il lettore ad uno studio attento, preciso di ogni poesia, soffermandosi su ogni singolo termine, poiché le parole utilizzate da Vanacore nascondono un significato quasi ermetico e non casuale.

D’altro canto, due aspetti davvero interessanti sono la ripetizione del numero 9 – il libro è infatti composto da 9.999 parole, 99 poesie e divisa in 9 “cieli” –  e poi c’è la scelta del titolo: eloquente al punto da rievocare un periodo alquanto delicato per quanto riguarda la Storia. In realtà, la fine dell’era dei fiori significherebbe la conclusione di quel pensiero che tentava di recuperare la frattura interiore nell’uomo, provocata dallo scoppio di ben due Guerre Mondiali, facendo leva su alcune tematiche che noi già conosciamo.

In effetti, l’uomo del ventunesimo secolo non ha certezze; è privo di valori che non lo rendono essere umano, trasformandolo in un individuo frammentato. Dunque, Vanacore, con la poesia, tenta di cucire questa frattura, pur conoscendo le difficoltà che ci possono essere. Tuttavia la raccolta di poesie di questo poeta merita il suo tempo, diventando, così, un mezzo di profonda riflessione individuale e globale. (Pensiero di Domenico Andreozzi).

“La fine dell’era dei fiori” è disponibile in libreria e in tutti gli store online. Queste sono alcune poesie tratte dalla raccolta:

Aversa FS

Chissà se basterà

Andare via

Per non renderci conto

Di ciò che siamo diventati

Dei fiori che abbiamo morso

Per essere belli come loro

Affiggere la pelle ai muri

E fare i funamboli sui binari

Tendini del mondo

C’è un posto migliore

Questo non lo dicono

Gli occhi rossi dei treni

Che si portano via

Un altro strato di me

Ammasso di assenze

Che aspetta un regionale

Stelle di condominio

Barcollando

Nel meccanismo della notte

La solitudine delle stelline

Che sembrano uguali e vicine

Eppure distano talmente tanto

La dolcezza di mamma

Che mi crocifigge con tre sigarette

Sulla tavola quando torno tardi

Mi fa piangere e vagire

La maestra a teatro

Quando accarezza coi piedi

Il palcoscenico del corso serale

E si fa piccola come un ciottolo

Da gettare nel fango

Una ragazza che mi stringe

Con braccia più fredde di dicembre

Già ad aprile

E da sopra la sua spalla

Vedo luci di condominio

Stellare il cielo

Nel tedio che divide

Una luce dal buio

L’amore dalla desolazione

Del rivederci in stazione

Dopo essere tornarti

A chiamarci per nome

Chissà in quale di quelle finestre

Sta cantando una ninna nanna

La prossima bocca da baciare

Da salvare

Succhiare lo spazio fra le dita

Ingiallite di promesse

Che sono un cancro che riempie

E poi consuma

Preghiera della lunga notte

Vi ha mai cullato

Lo sconforto sconfinato?

Vi siete mai svegliati

Tra le braccia di un dolore

Talmente radicato

Talmente antico

Da guardarlo negli occhi

Cercando i suoi occhi

Nell’ombra che si forma

Tenendo il capo premuto

Contro le ginocchia?

Vi siete mai lasciati trovare

In quella posizione fetale

In quel amniotico pianto

Dalla sofferenza dolcissima

Che non si può chiamare

Se non madre?

Non vi è dolore uguale al mio?

È illimitata la brutalità

Della sopportazione

L’altezza della soglia del dolore

Che trafigge il cielo

E ci crocifigge nel ventre della notte

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