In provincia di Catania, nell’ambito dell’operazione “7 ore”, i carabinieri hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 26 presunti appartenenti al clan dei “Tuppi”, legati ai Mazzei, storico gruppo di Cosa nostra. I reati ipotizzati, a vario titolo, sono associazione mafiosa, omicidio, estorsione in concorso, furto, ricettazione, riciclaggio, porto di arma, trasferimento fraudolento di valori e corruzione. Sono stati sequestrati beni per 1,5 milioni di euro.
L’operazione “Gisella” ha fatto luce su uno degli omicidi da ricondurre alla guerra di mafia tra i “Tuppi” e la cosca “Pulvirenti” negli anni ‘80 e ‘90: quello del consigliere comunale di Misterbianco, Paolo Arena, segretario ed esponente di spicco Dc, ucciso il 28 settembre del 1991. E’ stato il pentito Luciano Cavallaro, che in quell’occasione imbracciò l’arma per fare fuoco, a raccontare i retroscena, legati alla decisione di Arena schierato da sempre con i Nicotra, i “tuppi” di Misterbianco, ai quali passava informazioni sull’aggiudicazione di appalti pubblici, di passare con il clan dominante del tempo, quello del “malpassotu” guidato da Orazio Pino ucciso dieci giorni fa a Chiavari. Ad ordinare il delitto fu Gaeano Nicotra, per tutti ‘u zu tanu: due i sicari, Luciano Cavallaro e Antonino Rivilli.
Il procuratore Carmelo Zuccaro, all’epoca dei fatti uno dei pm impegnati nello sterminio del clan Pulvirenti, spiega: “Paolo Arena era un politico corrotto che esponenti del clan Nicotra, detto dei ‘Tuppi’, hanno ucciso perché ritenuto un traditore, visto che dopo avere intrattenuto relazioni illecite e continuative con loro aveva allacciato rapporti d’affari con la cosca rivale dei Pulvirenti. Già pochi anni dopo l’omicidio di Arena si è individuato come movente il tradimento che il clan Nicotra, egemone a Misterbianco, addebitava a Paolo Arena, segretario della Dc locale, per avergli voltato le spalle e dato il suo appoggio nella concessione degli appalti del Comune al gruppo dei Pulvirenti. All’epoca tutte le gare erano monopolizzate dalla mafia con l’apporto del funzionario corrotto e infedele che dava le dritte giuste per potersele aggiudicare. È grazie alla collaborazione del pentito Luciano Cavallaro – ha spiegato Zuccaro – che siamo riusciti ad avere la certezza processuale sul mandante: fu Gaetano Nicotra, fratello del boss Mario”.
Un’indicazione sul movente fu il ritrovamento in casa di Gaetano Nicotra in Toscana di un ‘pizzino’, con la dicitura ‘I traditori’, che riportava una lista di nomi, compreso quello di Arena. Secondo una ricostruzione i due gruppi rivali, dei ‘Tuppi’ guidati da Mario Nicotra ucciso nel 1989, e della cosca Pulvirenti, capeggiata dal boss poi pentito Orazio Pino, all’inizio facevano affari tra loro. Poi alla fine degli anni ottanta è scoppiata una violenta guerra di mafia che ha visto i ‘Tuppi’ perdenti fuggire, e per questo presero anche il nome di ‘scappati’, e ricostruire il loro potere criminale in Toscana, a Prato. Poi sono ritornati per riprendere il controllo del territorio con estorsioni e ‘cavalli di ritorno’, furti e rapine. Per festeggiare Tony Nicotra, 53 anni, figlio di Mario e boss del gruppo, nel marzo 2017 gli affiliati sono andati a trovarlo in una villa di Misterbianco: l”omaggio’ è stato ripreso da telecamere dei carabinieri, così come i rituali fuochi d’artificio esplosi in onore del capo ritornato.
Le indagini hanno consentito di ricostruire l’attuale organigramma del sodalizio criminale dei Tuppi che ha visto al vertice l’anziano e carismatico “zio Tano” Nocotra, fratello del boss Mario Nicotra, coadiuvato, nella gestione degli affari e nel governo dei singoli affiliati, dal fidatissimo Antonino Rivilli. Ruolo apicale anche per il nipote Tony Nocotra, ritornato in libertà dal 17 febbraio 2017, che riprendeva il controllo della cosca. Per lui fuochi d’artificio nella villa di campagna per festeggiare la sua scarcerazione. Alle strette dipendenze di Rivilli e di Tony Nicotra il “gruppo di Motta Sant’Anastasia”, capitanato da Daniele Distefano, inteso “Minnitta”.
Ventisei le persone arrestate, tutte libere (tranne Giuseppe Piro, di 28 anni, già in carcere) e ritenute tutte affiliate al clan Nicotra di Misterbianco e Motta Sant’Anastasia, federati con i Mazzei e i carcagnusi di Catania. Manette pure per un carabiniere, Gianfranco Carpino, di 51 anni, accusato di corruzione e rivelazione ed utilizzazione di segreto d’ufficio. Secondo l’accusa il militare dell’Arma in servizio nella stazione dei carabinieri di Motta Sant’Anastasia, dal gennaio all’aprile del 2017 in cambio di soldi avrebbe riferito a due affiliati al clan informazioni riservate, ovvero rivelato l’identità di confidenti e spiegato le modalità per sottrarsi alle attività di controllo. Il militare è stato sospeso dal servizio ed è rinchiuso nel carcere di Bicocca, a Catania.
Gli altri arrestati, oltre a Carpino e Piro, sono Domenico ed Emanuele Agosta, rispettivamente di 33 e 29 anni, Giuseppe Avellino, di 55, Filippo Buzza, di 45, Rosario Salvatore Cantali, di 46, Luca Destro, di 37, Vincenzo Di Pasquale, di 42, Daniele e Filippo Distefano, rispettivamente di 35 e 42 anni, Carmelo Guglielmino, di 41, Gaetano Indelicato, di 32. Arrestati anche Alfio La Spina, di 37 anni, Carlo Marchese, di 47, Saverio Monteleone, di 37, Daniele Musarra Amato, di 49 e Antonino Navarria, di 59. In manette sono anche finiti Antonio Nicotra, di 53 anni, Gaetano Nicotra, di 40, un suo omonimo, di 68, Lucia Palmeri, di 50, Emanuele Parisi, di 30, Antonino Rivilli, di 48, Giovanni Sapuppo, di 39, e Francesco Spampinato, di 42.
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