La Dia di Genova sta eseguendo, in Liguria e in Campania, due ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip del Tribunale, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Genova, nei confronti dell’amministratore di fatto (ritenuto contiguo ad elementi inseriti in organizzazioni legate alla camorra) della Tecnodem srl di Napoli – società già impegnata nella demolizione del “Ponte Morandi”, crollato il 14 agosto 2018, provocando 43 morti – e di una donna considerata prestanome nell’ambito della stessa compagine societaria. Eseguiti anche perquisizioni e sequestri preventivi.
I provvedimenti traggono origine da una articolata indagine, diretta e coordinata dalla Dda di Genova e condotta dalla Dia, che aveva già comportato, sulla base dei primi accertamenti di carattere amministrativo, l’emissione nello scorso mese di maggio di un’informazione interdittiva a carico dell’azienda napoletana che era stata così estromessa da un subappalto di centomila euro, relativo appunto alla demolizione del “Ponte Morandi”. L’esecuzione delle misure cautelari personali e patrimoniali è avvenuta d’intesa con la Dda della Procura di Napoli.
Secondo gli inquirenti, era Ferdinando Valese il vero amministratore della ditta e l’accusa nei suoi confronti è di intestazione fittizia di beni aggravata dall’aver commesso il fatto per agevolare il clan D’Amico, del rione Villa di Napoli. I provvedimenti hanno origine da un’articolata indagine, diretta e coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Genova e condotta dalla Dia, che aveva già comportato, “sulla base dei primi accertamenti di carattere amministrativo, l’emissione nello scorso mese di maggio – ricorda la Dia – di un’informazione interdittiva a carico della stessa azienda che era stata così estromessa da un subappalto di 100mila euro, relativo appunto alla demolizione del Ponte Morandi”.
Tra le condanne riportate da Varlese, emerge la sentenza emessa dalla Corte d’appello di Napoli nel 1986 per associazione a delinquere. Tra i coimputati vi erano affiliati al clan “Misso-Mazzarella-Sarno”, già appartenente all’organizzazione camorristica denominata “Nuova Famiglia”, i cui boss erano Michele Zaza e suo nipote Ciro Mazzarella. Altra sentenza rilevante, secondo la Dia, è quella della Corte d’appello di Napoli del 2006 per estorsione tentata in concorso, con l’aggravante di aver commesso il fatto con modalità mafiose, da cui si evincono in maniera circostanziata i legami di Varlese con il clan camorristico “D’Amico”, cui risulta legato da rapporti di parentela.
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