Ramacca, arrestati due uomini per l’omicidio di “Saddam”

di Redazione

Ramacca (Catania) – I carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Catania hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip del tribunale etneo, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, nei confronti di Antonino Barbagallo, 43 anni, e Samuele Cannavò, di 22 anni, entrambi di Paternò. Entrambi devono rispondere dell’omicidio (ed anche del reato di porto e detenzione illegale di arma comune da sparo), con l’aggravante di aver agito con premeditazione e crudeltà, di Emanuele Pasquale Di Cavolo, 34 anni, detto “Saddam”, che venne trovato ucciso a Ramacca il 20 gennaio 2018. Omicidio commesso per rafforzare l’associazione mafiosa cui Barbagallo e Cannavò appartengono, vale dire il clan “Laudani”, soprannominati “Mussi i ficurinia”, in particolare il gruppo Rapisarda che controlla la zona di Paternò, sotto l’egida di Salvatore Rapisarda attualmente detenuto al regime del 41 bis.

Il provvedimento cautelare, oltre che sui risultati delle indagini, si basa anche su una parallela attività investigativa svolta a proposito di un’inchiesta per associazione mafiosa, sempre sul territorio di Paternò (la cosiddetta operazione “En Plein 2”). In questo frangente erano, infatti, venuti a galla gli assidui rapporti di frequentazione tra la vittima ed alcuni esponenti del clan Rapisarda, tra i quali proprio gli arrestati di oggi Barbagallo e Cannavò. Si è scoperto così che pochi giorni prima di morire la vittima e i due presunti assassini avrebbero avuto dei dissapori a causa del comportamento di Di Cavolo, ritenuto “inaffidabile”, per la sua abitudine di parlare troppo e di mettere in giro voci denigratorie nei confronti di altri componenti del gruppo mafioso. Di qui scaturiva la decisione di eliminarlo, portandolo in località distante dal territorio controllato dalla cosca. I due sicari, secondo la ricostruzione emersa dalle indagini, avrebbero così portato Di Cavolo con una scusa nella zona di Raddusa e lì massacrato a colpi di pietra in faccia il loro ex compagno di sodalizio, per renderne irriconoscibili i tratti somatici.

L’attività investigativa consentiva di accertare, inoltre, grazie alle indagini balistiche delegate ai carabinieri del Ris di Messina, che la pistola utilizzata per l’omicidio Di Cavolo era già stata utilizzata in occasione di una tentata rapina consumata il 30 dicembre 2017 ai danni dei titolari di un distributore di carburante di Paternò, fatto per il quale Cannavò è attualmente sotto processo. Veniva accertata, infatti, una perfetta corrispondenza tra l’ogiva rinvenuta in sede di esame autoptico sul cadavere della vittima, gli ulteriori due proiettili rinvenuti sulla scena dell’omicidio, e l’ogiva rinvenuta sul teatro della tentata rapina, a riprova del fatto che il suddetto materiale balistico era stato esploso da un’unica arma.

Ulteriori accertamenti tecnico scientifici compiuti sui campioni ematici rinvenuti sulla scena del crimine hanno consentito di attribuire una delle tracce a Barbagallo. Il provvedimento restrittivo è stato notificato ad entrambi gli indagati in carcere in quanto sono già detenuti dal 19 giugno 2018 perché arrestati nell’ambito del blitz “En Plein 2”, contro 19 appartenenti al clan Laudani che opera a Paternò, tutti chiamati a rispondere dei delitti di associazione di tipo mafioso, traffico di stupefacenti, tentata rapina, porto abusivo e detenzione illegale di armi.

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