Salvatore Costanzo illustra i 150 anni della “Sirena Partenope” di Napoli

di Redazione

di Salvatore Costanzo (architetto – storico dell’arte) – In quel lontano 29 ottobre 1869, Cesare Dalbono – Direttore dell’Istituto di Belle Arti di Napoli – così iniziava un suo scritto indirizzato al sindaco di Napoli: “… Mi sono recato unitamente ai Professori dell’Istituto ad esaminare la fontana compiuta in marmo dallo Scultore Onofrio Buccini… Essendo assente da Napoli il Cav. Angelini, i Professori Mancinelli, Morelli, Alvino, Solari, hanno pregato il Prof. Maldarelli perché volesse accompagnarli. Posso con piacere assicurare la S.V. che sebbene tutti i detti Professori avessero già veduto il lavoro nello studio del Buccini, sono stati assai compiaciuti ed ammirati di osservarlo al suo posto novello. Questo lavoro mentre è condotto con grandissima diligenza e amore non lascia di produrre un effetto assai soddisfacente, ed essere un bellissimo ornamento della piazza. Essi hanno manifestato una loro opinione che delle opere di scultura fatte in questi ultimi anni la fontana del Buccini si può dire la migliore …”.

Per la ricorrenza dei 150 anni trascorsi dalla realizzazione della monumentale scultura, oggi in Piazza Sannazaro, questo modesto profilo di chi scrive ha il privilegio di ricordare l’importanza della  produzione di Onofrio Buccini, artista di Marcianise, attraverso un contributo informativo incentrato sullo scorcio degli anni ’60 dell’Ottocento, che indaga – per evidenti motivi di economia – solo una limitata porzione delle esperienze compositive del maestro. Vale la pena annotare che il quadro complessivo del repertorio bucciniano è stato da me trattato organicamente, sia dal punto di vista stilistico che sotto l’aspetto storico-culturale, nel volume “Onofrio Buccini e la scultura napoletana dell’Ottocento”, Clean Edizioni 1993: saggio nato dal desiderio di rivendicare la trascuratezza ed alcune “detrazioni” di scrittori e critici del passato, lungo un ampio fronte della storia moderna della scultura in Campania.

Non è difficile, in questa occasione, riscoprire che sullo sfondo della stagione neoclassica napoletana e dalla vena artistica e figurativa di uno dei suoi tipici rappresentanti locali, lo scultore Antonio Calì, ebbe inizio il lungo e faticoso percorso creativo del Buccini che, dopo il decennio 1852-62, proseguì col soggiorno nello studio del principe Leopoldo II di Borbone. Qui Onofrio realizzò il “Monumento a Giovanbattista Vico” per la Villa comunale di Napoli, che reca, però, la firma dello stesso principe (1). Solo più tardi lo scultore completò la modellazione di una delle sue opere più eloquenti: il gruppo marmoreo della “Sirena Partenope”, che segnò uno dei momenti cruciali dell’evoluzione della sua carriera artistica.

Il primo contratto per la realizzazione del monumento fu redatto in Napoli il 2 ottobre 1861 tra il sindaco della città, Giuseppe Colonna, Onofrio Buccini e l’abbozzatore Giuseppe Pirolli. Ma ben presto, a seguito di contrasti tra l’artista e il Pirolli, fu necessario stipulare in data 16 novembre 1861 un secondo contratto in cui venivano specificate le mansioni del Pirolli, quale semplice abbozzatore (2), e del Buccini, quale unico ideatore e scultore dell’opera. Nel 1869 la Sirena Partenope fu ammirata dal principe Umberto I di Savoia ed ottenne un giudizio davvero lusinghiero da parte del pittore Filippo Palizzi. Quest’ultimo evidenziò che: “… il lavoro era bello e fatto con coscienza, che tutti gli animali avevano un sentimento diverso, e che a preferenza avrebbe staccata la tartaruga marina e messa tra i capi d’opera del Museo Nazionale”. Tale giudizio trovò il consenso anche del prof. Panceri, all’epoca Direttore dell’Università di Napoli.

La disamina del tema dedicato allo spirito della ricerca bucciniana e alla combinazione d’insieme della plastica dei suoi monumenti, ci consente di precisare che la Sirena Partenope appare rappresentativa per singolarità di concezione e impianto scenico, a cui vivamente partecipa il gioco dell’acqua in movimento. Essa risulta una straordinaria combinazione di architettura, scultura, elementi naturali e fantastici, e ci appare come un’opera virtuosistica, concepita dentro di ogni vivo rapporto ambientale, di un classicismo tutto “di testa” e animato da profonda movenza. La sua realizzazione dovette presentare difficoltà notevolissime per il fatto che non presenta un solo punto di osservazione, ma tanti quanti ne offre la veduta dalla quale può essere ammirata.

Quanto al raggio dei riferimenti sulle vicende storiche della “Sirena”, chiuderemo il nostro breve excursus evidenziando che l’opera, destinata ad adornare la fontana del largo Vittoria, ebbe un singolare destino. Eretta nei giardini antistanti la vecchia Stazione Ferroviaria (che, come è noto, giungeva con le sue fabbriche molto più avanti di quella attuale, quasi all’altezza di Corso Garibaldi), benchè fosse relativamente giovane, fu fatta “emigrare” nel 1924 da oriente ad occidente della città (vedasi Archivio del Comune di Napoli, delibera n. 45 del 31/01/1924). Non è chiaro per quale motivo si preferì spostare il monumento in piazza Sannazaro, allo sbocco della Galleria Laziale e ubicarlo al centro di un’ampia aiuola recintata, in una vasca ellittica.

(1) Sul problema della paternità della statua raffigurante Giovanbattista Vico, cfr.: O. Buccini, Autobiografia, m.s. Napoli, 25 ottobre 1892, Biblioteca del Museo Campano di Capua, Sala Top. Rep. Marcianise. Nel manoscritto è fondatamente confermata l’appartenenza del monumento all’artista marcianisano. Per un vantaggioso richiamo su questo tema, non spiace citare un frammento che, in anni più recenti, ha scritto mons. Franco Strazzullo, autorevole studioso e storico napoletano, in una lettera di cortesia inviatami dalla Curia Arcivescovile di Napoli (1 gennaio 1994, prot. 187/94) dopo aver letto il  mio volume su Onofrio Buccini:“… Curiosando tra le pagine, ho appreso molte notizie inedite che mi hanno illuminato, tra l’altro, sulla figura del principe Leopoldo di Borbone. Da oggi non dirò più che la statua di Gianbattista Vico, nella nostra Villa Comunale, è opera del principe di Siracusa…”. Sempre sullo stesso monumento, non mancano ulteriori riferimenti (si veda, ad esempio, la preziosa opera di Nicola Della Monica “Le statue di Napoli, T.E. Newton, 1996, n. 35”, dove in una nota a p. 12, lo studioso rimanda alla mia precedente pubblicazione sul Buccini del 1993). Riguardo, invece, la lettura stilistica della scultura, in questa sede possiamo accennare al volto intensamente espressivo dell’insigne filosofo napoletano che rileva uno spirito assai penetrante. Pur rendendo estremamente duttile la memoria caliniana, il lavoro del Buccini raggiunge un equilibrio di forme vigorose e composte. 

(2) Sulla vera attività lavorativa di Giuseppe Pirolli, quale “abbozzatore” e non scultore , particolare rilievo assume il recente scritto di Carlo Knight “I segreti del Leone di Mergellina” pubblicato negli “Atti della Accademia Pontaniana”, Anno Accademico 2015, Giannini Editore – Napoli 2016, dove il noto scrittore e storico napoletano, in merito alla esatta paternità della statua del Leone di Mergellina, così riporta: “ …la scritta ‘G. PIROLLI 1860’, incisa sul lato sinistro del basamento della statua, non può essere la firma dell’autore. Inutile cercare traccia di Giuseppe Pirolli nei repertori, indici o elenchi di artisti, o nei testi di storia dell’arte dell’Ottocento. L’assenza del suo nome si spiega col fatto che non era uno scultore. Era un “abbozzatore”. Ovvero un artigiano che eseguiva la fase iniziale delle lavorazioni, sgrossando i blocchi di marmo secondo le istruzioni degli scultori. L’ho scoperto per caso, leggendo il libro di Salvatore Costanzo, Onofrio Buccini e la scultura napoletana dell’800 (Napoli 1993). E successivamente, dopo essere andato a consultare nella biblioteca del Museo Campano di Capua l’autobiografia manoscritta di Buccini (citata da Costanzo), ho appreso altre interessanti notizie su Pirolli. Tra cui quella che,<<sotto il manto di agnello, era lupo rapace, ruffiano e ippocrita>>…”. 

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