Voto di scambio. Ad Aversa queste parole hanno sempre aleggiato in tutti gli appuntamenti elettorali ad eccezione dei referendum dei quali a nessuno importa granché. La vulgata popolare, la tradizione orale vuole che gli attori principali (io parlerei più di vittime) sono, in maggioranza, alcuni di quelli che abitano nei rioni delle case popolari. Si è sempre parlato delle “spese” offerte all’elettore con l’intento di carpirgli il voto. Della banconota di 50 euro per convincere il giovane a votare un candidato specifico, ma mai, ripeto mai, le voci si erano tradotte in qualcosa di più serio.
Questo sino a quando il Candido nostrano, il sindaco Alfonso Golia, all’epoca non ancora primo cittadino, si recò presso il locale commissariato di Polizia di Stato per denunciare che uno dei suoi sostenitori era stato avvicinato da un giovane che gli aveva offerto i famigerati 50 euro per votare “in un certo modo”. Salvini, allora ante Papeete, da ministro degli Interni, rese pubblica in Parlamento la notizia di un’inchiesta in corso da parte della magistratura della Procura del competente tribunale di Napoli Nord e degli agenti del locale commissariato. Da allora hanno fantasticato in tanti. Anche se, in verità, già a fine luglio, mi segnalò la voce insistente, ma non confermata da fonti ufficiali, secondo cui oggetto delle indagini fosse un consigliere comunale di maggioranza, divenuto, poi, di pubblico dominio. Non scrissi nulla, ovviamente, perché le indiscrezioni non confermate non sono notizie, ma fake news. Indiscrezioni su altri esponenti politici vi erano state anche in precedenza ed anche allora la scelta è stata la stessa.
Ora si parla di questo giovane rampante consigliere comunale e di un suo “protettore” importante, di Teverola. Non sappiamo se effettivamente c’è una inchiesta in corso e come si concluderà. Sino ad allora nessuno si eserciti in operazioni di sciacallaggio che contribuiscono solo ad inquinare l’ambiente. Aversa non ne ha bisogno. Le opposizioni siano costruttive, non si trasformino in sciacalli. La maggioranza si rimetta a quanto gli inquirenti accerteranno. I giornalisti, se hanno in mano delle verità, le rendano pubbliche. E’ il nostro mestiere. In caso contrario, non alzino fango che potrebbe finire per sporcare soprattutto loro. Tutto questo, ovviamente, tralasciando, almeno per il momento, le analisi sociologiche da masturbazioni mentali nei confronti di chi vende la sua libertà per pochi spiccioli.