Un ingente traffico di capi e accessori di lusso contraffatti che avveniva sulla rete internet è stato individuato dai finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Ancona, a seguito di una vasta operazione denominata “Spider web” coordinata dalla locale Procura della Repubblica. Le griffe falsificate erano quelle di noti brand quali: “Gucci” “Luis Vuitton” “Chanel” “Prada” “Hermes” “Givenchy” “Bikkembergs” “Armani” “Fred perry” “Tommy Hilfiger” “Moschino” “Dsquared2”, “Ralph lauren”, “Emporio Armani”, “Burberry” e “Lacoste”, che hanno collaborato attraverso l’ausilio degli esperti anticontraffazione delegati dalle case produttrici.
I militari hanno dato avvio alle complesse indagini, durate oltre sei mesi, effettuando una prolungata attività di presidio di siti web, profili social e pagine presenti sui social network più noti, quali Facebook, Twitter, Instagram, Pinterest, Youtube ed individuando delle vere e proprie “vetrine virtuali” di operatori specializzati nel mercato delle vendite di abbigliamento online. Tra queste è stata individuata un’impresa, gestita da due coniugi, S.A., di 43 anni, e M.E., di 44, residenti in provincia di Ancona, che pubblicizzava la vendita di numerosi prodotti di lusso a prezzi concorrenziali, in particolare nella transazione tra il produttore ed il grossista.
Le successive investigazioni condotte attraverso l’analisi dei flussi commerciali e finanziari hanno consentito di appurare che tale “negozio virtuale” riservato solo ad operatori del settore abbigliamento, ai quali veniva richiesta la registrazione presso il sito web, era attivo nell’alimentazione del mercato del falso attraverso canali di vendita molto riservati che avvenivano attraverso account di messaggistica whatsapp. I capi ed accessori di lusso provenivano dall’estero, principalmente dalla Turchia, dalla Bulgaria e dalla Repubblica Ceca, giungevano in Italia attraverso i corrieri internazionali e venivano poi rivenduti e distribuiti ad esercenti su tutto il territorio nazionale.
Le complesse investigazioni, eseguite dai finanzieri della Sezione Diritti di Proprietà Intellettuale e Industriale del Nucleo Pef di Ancona, avviate sin dalla scorsa primavera, si sono concentrate anche sull’analisi delle movimentazioni dei maggiori corrieri nazionali. L’approfondimento investigativo ha consentito d’individuare i numerosi punti vendita dislocati in ben dodici regioni del territorio nazionale che acquistavano i prodotti contraffatti presso la ditta marchigiana. I minuziosi elementi d’indagine acquisiti hanno permesso l’emissione da parte della Procura della Repubblica di Ancona di appositi provvedimenti di perquisizione e sequestro nei confronti di trenta operatori commerciali.
L’attività di polizia giudiziaria è stata eseguita dalle Fiamme Gialle di Ancona, coadiuvate dagli altri Reparti del Corpo dislocati nelle Marche, Lazio, Emilia Romagna, Sicilia, Toscana, Calabria, Sardegna, Campania, Piemonte, Lombardia, Veneto, Abruzzo. Le ricerche hanno portato al sequestro di circa 15mila capi di abbigliamento, che una volta immessi in commercio, avrebbero fruttato oltre 4.500.000 euro. Sono stati, pertanto, denunciati a piede libero 35 soggetti, titolari degli esercizi commerciali interessati dall’attività illecita, per aver introdotto nel territorio dello Stato e commercializzato prodotti con segni falsi nonché per ricettazione, reati che prevedono pene complessive fino a dodici anni di reclusione.
Emblematica, in quanto in grado di trarre efficacemente in inganno i consumatori, è risultata la scoperta sui falsi capi di abbigliamento delle etichette con il “codice QR” scansionabile, che una volta inquadrato attraverso un dispositivo mobile, rimandava ad un generico sito web di vendite online, mentre il vero Quick Response Code contiene un codice univoco identificativo del prodotto ed il link porta l’utente al sito web del titolare del marchio. Nel corso delle perquisizioni eseguite nei confronti di esercizi commerciali, ubicati tra l’altro a Roma, Milano, Palermo, Torino, Bologna, Rimini, Napoli, Reggio Calabria, Reggio Emilia, Nuoro, Pisa, sono stati rinvenuti documenti fiscali che falsamente attestavano la provenienza della merce direttamente dalle società titolari del marchio.