Ventinove condanne sono state chieste dal pm della Dda di Napoli Luigi Landolfi a carico di presunti esponenti del clan Piccolo di Marcianise, accusati di associazione camorristica. Il processo si sta svolgendo con il rito abbreviato davanti al gup di Napoli Francesco Cananzi. In particolare, il sostituto procuratore antimafia ha chiesto alte condanne per il boss Achille Piccolo (20 anni), attualmente detenuto al carcere duro, e per i suoi familiari, tra cui i fratelli Angelo e Palma (entrambi 12 anni), il cugino Domenico (14 anni) e lo zio Pasquale (20 anni), detto “Rockfeller”, altro elemento apicale della cosca. Pene alte anche per gi esponenti del gruppo Letizia, alleati dei Piccolo.
Il processo è nato dall’indagine che nell’aprile dello scorso anno portò all’arresto, da parte della Squadra mobile di Caserta, di decine di presunti affiliati al clan Piccolo; l’inchiesta ha fotografato vent’anni di affari illeciti e sangue, due decadi in cui il clan Piccolo è riuscito a “risorgere” dopo essere uscito sconfitto dalla cruenta guerra di camorra combattuta con il clan rivale dei Belforte, a cavallo tra gli anni ’90 e 2000.
La rinascita della cosca sarebbe avvenuta dopo il 2005, in seguito ai colpi assestati da forze dell’ordine e magistratura agli stessi Belforte, peraltro messi in ginocchio anche dai continui pentimenti di capi e gregari. Determinanti per le indagini le intercettazioni dei colloqui in carcere tra gli affiliati detenuti e i parenti, e le stesse collaborazioni in seno al clan Belforte, che hanno squarciato un velo anche sugli affari del clan concorrente dei Piccolo. Dalle indagini sono emersi anche contrasti all’interno della stessa cosca, tra i Piccolo e i Letizia. Emblematiche le parole di Achille Piccolo, che parlando in carcere con il fratello Angelo, viene intercettato mentre dice a chiare lettere. «Sono io che comando nel clan». La sentenza è attesa per inizio marzo.