“Dopo aver vissuto questa tortura, rivoglio il mio posto in Comune”. E’ quanto chiede Alberto Muraglia, il vigile di Sanremo che timbrava in mutande, dopo essere stato assolto perché il fatto non sussiste. “Le cose vanno contestualizzate. – spiega – Non ero un pazzo che andava a timbrare così nella sede del Comune. Io ero il custode del mercato. La macchinetta era in un corridoio davanti al mio appartamento, in un contesto privato”.
“Sono stati quattro anni di tortura mediatica”, racconta a La Stampa. Ma “io non mi sono mai abbattuto, ho scelto di prendere la cosa con ironia e serenità, lo dovevo alla mia famiglia, ai miei figli. Non potevo farmi vedere distrutto. Ho sempre creduto nella giustizia, e ora la conferma è arrivata, anche se è stata dura”. “Una cosa – ha aggiunto – mi ha disturbato su tutte: quasi nessuno ha mai avuto l’onestà intellettuale di fare la domanda giusta, e cioè se quelle timbrature erano fatte prima o dopo l’orario di servizio. Rispondo io: tutte prima, non ho mai rubato nulla. Sono sempre andato a testa alta. Capisco l’impatto determinato dall’inchiesta e dalla foto, ma la gente di Sanremo mi conosceva, mi ha sempre stimato e mi è stata vicino”.
Sulla scorta di tutto ciò, Muraglia rivuole il suo posto, quel lavoro che ha svolto per 18 anni. “Il ricorso – dice – l’ho già fatto. Ho portato 40 testimoni e la prossima udienza sarà ad aprile. Io sono stato messo alla porta in base a mere accuse. Ora che c’è una sentenza di assoluzione, credo valga qualcosa”.