Truffe su indennità disoccupazione, arresti e sequestri nel Beneventano

di Redazione

Associazione a delinquere, truffa aggravata ai danni dello Stato, reati tributari, riciclaggio e autoriciclaggio. Questi i reati contestati a vario titolo a dieci persone, per le quali sono state disposte delle misure cautelari. L’ordinanza è stata emessa dal gip di Benevento, all’esito di una operazione coordinata dalla Procura sannita e che conta 110 indagati. Cinque le persone ai domiciliari: Cosimo Tiso, 52enne di Sant’Angelo a Cupolo; Gabriella Musco, 44enne di Sant’Angelo a Cupolo; Gaetano De Franco, 44enne di Benevento; Arturo Russo, 58enne di San Nicola Manfredi; Raffaele Bozzi, 56enne di Benevento. Obbligo di presentazione alla Polizia giudiziaria, invece, per altri cinque: Piergiuseppe Bordi, 41enne di Benevento; Maria Rosaria Canu, 48enne di Sant’Angelo a Cupolo; Pasqualino Pastore, 54enne di Benevento; Tullio Mucci, 48enne di Benevento; Maurizio Marro, 57enne di Benevento. Il provvedimento è in corso: a lavoro i militari delle Fiamme Gialle del capoluogo, che stanno anche procedendo al sequestro per equivalente di 3.724.824,20 euro, nonché al sequestro di diverse società utilizzate per commettere i reati.

La complessa e articolata attività di indagine, scaturita da uno specifico servizio in materia di lavoro sommerso, ha consentito di accertare la sussistenza di un grave quadro indiziario a carico di una vera e propria associazione a delinquere volta a perpetrare una serie indeterminata di reati e, in particolare, di delitti fiscali e di truffe aggravate per il conseguimento di erogazioni pubbliche ai danni dell’Inps e ai danni dello Stato, condotte delittuose i cui proventi costituivano a loro volta oggetto di riciclaggio e autoriciclaggio. Attraverso intercettazioni, perquisizioni e analisi dei dispositivi sequestrati agli indagati, ma anche di acquisizione documentale e delle testimonianze di persone informate sui fatti, i militari hanno scoperto che tutto è stato realizzato mediante la costituzione e gestione di 17 società, tutte riconducibili allo stesso sodalizio e quasi tutte non operative e usate per finalità elusive. Le imprese, infatti, erano tutte strumentali all’emissione e all’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e quindi ai fini dell’evasione fiscale. Non solo: venivano usate anche per la fittizia assunzione di personale, non essendoci attività lavorativa concretamente prestata, con il solo scopo di consentire la percezione indebita di indennità di disoccupazione in seguito al licenziamento – anch’esso fittizio – e il conseguimento di settimane utili ai fini pensionistici, in modo da creare sostanzialmente crediti di imposta a favore delle società da compensare con ritenute previdenziali e assistenziali.

Tutti i lavoratori assunti dalle società, a distanza di un lasso temporale utile a far maturare i diritti previsti dalla normativa vigente, venivano licenziati e invitati a presentare domanda di indennità di disoccupazione che, una volta indebitamente ottenuta e accreditata, veniva riversata nelle mani del sodalizio: il tutto mediante una struttura organizzativa complessa e articolata con suddivisione di ruoli e compiti ben precisi tra gli indagati, con una gestione pianificata nei minimi dettagli e mediante tecniche ed espedienti ben collaudati nel tempo, rendendo di fatto possibile che i coinvolti nell’inchiesta agissero indisturbati per quasi tutto un decennio. Le persone venivano ricercate tra familiari, amici e amici di amici, grazie ad un sistema di passaparola che garantiva sempre una costante manodopera. Il tutto sfruttando la collaborazione di centinaia di soggetti che, in cambio di una piccola percentuale (in media il 20% del totale) dell’indennità indebitamente percepita e della conseguente opportunità di ritrovarsi contributi figurativi e settimane lavorative, si sono prestate a farsi assumere e licenziare, oltre a presentare domanda per conseguire la disoccupazione, che veniva accreditata sui conti correnti accesi dai beneficiari e poi versata in tutto o in parte ai vertici dell’associazione.

Fondamentale il ruolo di coloro ai quali sono state intestate le società e che hanno di fatto reso possibile la commissione di molteplici reati fiscali e di plurime truffe e che si rendevano disponibili per ogni operazione anche simulata e atto necessario per il conseguimento delle finalità illecite dell’associazione. Non solo: si recavano presso istituti bancari, emettevano assegni, firmavano documenti, effettuavano movimenti bancari e facevano transitare sui propri conti correnti i proventi dell’attività, compiendo operazioni volte a dissimularne la relativa provenienza. Inoltre, procacciavano anche nomi utili ai fini delle assunzioni. Per quanto riguarda i ‘prestanome’, invece, erano soggetti senza reddito e senza occupazione, alcuni dei quali con precedenti penali e disposti a commettere reati per guadagnarsi la giornata, provenienti prevalentemente da contesti sociali di disagio, da fasce deboli disposte a tutto per pochi soldi, facilmente circonvenibili e senza nulla da perdere. Prezioso, all’interno del sodalizio, anche il ruolo ricoperto dai consulenti di lavoro delle società indagate, che hanno messo a disposizione la propria attività professionale, in particolare consentendo di avviare e perfezionare la procedura finalizzata al conseguimento delle indebite indennità di disoccupazione. Basilare inoltre il contributo degli organizzatori, che hanno aiutato il promotore, il 52enne Tiso, curando sistematicamente sia l’attività di gestione delle società che la contabilità, predisponendo la documentazione necessaria per realizzare le truffe.

Il 52enne Cosimo Tiso, individuato dai magistrati come reale ‘dominus’ di tutta l’attività, avrebbe controllato di fatto l’intero apparato in modo puntuale, pianificando strategie difensive in caso di controlli fiscali, assumendo ogni decisione e impartendo direttive in ordine alla gestione delle società. Secondo gli investigatori, beneficiava dei proventi delle truffe – di cui risultava ultimo collettore – attraverso condotte di riciclaggio degli altri indagati e di auto-riciclaggio. Le Fiamme Gialle hanno anche ritrovato in una penna Usb – della quale il 52enne se ne sarebbe disfatto prima di una perquisizione – un archivio di tutte le persone che avevano lavorato fittiziamente. Inoltre, aveva predisposto un memorandum per ogni dipendente, predisponendo anche il contenuto delle dichiarazioni da rendere ai giudici in caso di possibile indagine. In più, questa mattina – nel corso della notifica della misura cautelare – i militari avrebbero atteso circa 20 minuti prima di poter entrare in casa a causa di un cancello chiuso e due pastori tedeschi liberi all’interno della proprietà. Tempo che l’uomo avrebbe utilizzato per nascondere una valigia nelle campagne circostanti l’abitazione, ma ritrovata e ora al vaglio degli inquirenti.

Più di 100 le persone coinvolte nell’indagine, oltre 200 i rapporti di lavoro fittizi scoperti e un giro di affari che, dal 2013, ha portato l’Inps a sborsare un importo complessivo di 1.037.569,92 euro. Non solo: le settimane complessive accumulate illecitamente a fini pensionistici risultano essere pari a 11361 pari a circa 218 anni contributivi. Allo stesso tempo, attraverso l’utilizzo e l’emissione di fatture per operazioni inesistenti e la commissione di molteplici delitti fiscali, l’intero meccanismo fraudolento architettato ha consentito di evadere un’imposta complessiva pari a 2.687.254,28 euro. I proventi venivano di volta in volta trasferiti su conti correnti intestati ad altre persone riconducibili comunque all’associazione, attraverso una pluralità di movimentazioni bancarie effettuate tra persone fisiche e giuridiche, in modo da ostacolarne l’accertamento della provenienza delittuosa: dagli accertamenti bancari effettuati nel corso delle indagini è emerso, in particolare, che gran parte delle somme, dopo una serie di operazioni e trasferimenti, confluivano su conti situati a Malta e in Lussemburgo, che al momento sono al centro di ulteriori accertamenti e sequestri.

“Non può che sottolinearsi, a completamento dell’allarmante quadro emerso, – scrive il procuratore Aldo Policastro – la peculiare pericolosità degli indagati: nel corso dell’attività investigativa hanno dimostrato, non solo particolare scaltrezza e abilità, ma anche un atteggiamento del tutto sprezzante nei confronti della legge e del sistema giudiziario, continuando a delinquere, noncuranti dei controlli e delle indagini in corso, che già peraltro conoscevano, e provvedendo ad eliminare file e documenti finanche oggi nella fase di esecuzione delle misure, precostituendosi prove a discarico nonché disponendo, in modo particolarmente allarmante, di canali privilegiati di acquisizione di notizie segrete relative alle indagini con particolare riferimento alle intercettazioni autorizzate nei loro confronti che provvedevano a neutralizzare sia pure parzialmente”. Su questo aspetto le indagini stanno procedendo al fine di identificare la ‘gola profonda’ che ha coperto il gruppo e rallentato le indagini della magistratura. IN ALTO IL VIDEO

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