Tra le province di Caserta e Latina – e nelle case circondariali di Milano “Opera” e L’Aquila – i carabinieri del nucleo investigativo di Caserta hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal Tribunale di Napoli, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia partenopea, nei confronti di quattro persone, ritenute, a vario titolo, responsabili dell’omicidio, aggravato dal metodo mafioso, di Michele Borriello, avvenuto a Vitulazio, nel Casertano, la sera del 29 ottobre 1992.
La misura cautelare colpisce elementi di spicco del clan dei casalesi, tra i quali Walter Schiavone, 58 anni, detto “Walterino”, ritenuti responsabili dell’omicidio dell’allora 26enne Borriello, detto “Pellecchione”. La vittima era stata uccisa mentre si trovava nei pressi di un rinomato locale del posto, venendo attinta da 11 colpi d’arma da fuoco. Nell’agguato era rimasto gravemente ferito anche un giovane del posto, che si trovava occasionalmente in compagnia della vittima, al quale le gravi lesioni riportate procuravano danni fisici permanenti.
I provvedimenti restrittivi costituiscono il risultato di un’attività investigativa, coordinata dalla Procura Antimafia, avviata nell’anno 2017, che ha consentito di accertare che: Walter Schiavone, attualmente detenuto, è stato il mandante dell’omicidio; Sebastiano Panaro, 50 anni, detto “camardone”, esponente di primo piano del clan dei casalesi, attualmente detenuto a L’Aquila, è stato l’autore materiale dell’omicidio; Domenico Buonamano, 62 anni, e Giovanni Di Gaetano, 59 anni, hanno trasportato sul luogo del delitto Sebastiano Panaro, a bordo di un’autovettura rubata poi data alle fiamme. La decisione era stata presa poiché Borriello, probabilmente a causa di una non florida situazione economica, aveva chiesto un maggior coinvolgimento nella compagine associativa e, a causa del diniego ricevuto, aveva iniziato ad appropriarsi dei proventi dell’attività estorsiva eseguita per conto del clan. Per l’omicidio in questione, nel 1999, fu già stato condannato in via definitiva, alla pena di 10 anni e 8 mesi di reclusione, Antonio Abbate, altro elemento di spicco dei casalesi, ora collaboratore di giustizia.