La Guardia di Finanza di Prato, in collaborazione con i colleghi di altre città, ha eseguito un’ordinanza cautelare, emessa dal Tribunale di Firenze, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia del capoluogo toscano, nei confronti di 12 componenti di un sodalizio criminale, oltre che al sequestro di 15 aziende, di decine di conti correnti e disponibilità finanziarie nonché a 120 perquisizioni domiciliari e locali. Dei 12 arrestati, 6 ristretti in carcere, altrettanti ai domiciliari, 10 sono originari di Palermo e provincia, 2 della Puglia. Sette sono residenti nel capoluogo siciliano, due a Prato, due a Campi Bisenzio (Firenze) ed uno a Sesto Fiorentino (Firenze). Agli arrestati ed agli ulteriori indagati, in totale 60, è contestata, a vario titolo, l’associazione per delinquere finalizzata alla commissione dei reati di riciclaggio, autoriciclaggio ed emissione di fatture per operazioni inesistenti, nonché i reati di intestazione fittizia di beni, contraffazione di documenti di identità e sostituzione di persona.
L’operazione “Golden Wood” si connota in termini di assoluta rilevanza anche in ragione della contestazione della specifica aggravante consistente nell’agevolazione dell’attività di un’associazione mafiosa, nel caso di specie la “famiglia mafiosa di Corso dei Mille” di Palermo. Il procedimento penale ha tratto origine da pregressi accertamenti svolti dalle Fiamme gialle pratesi, che avevano consentito di individuare alcuni soggetti dediti – attraverso l’utilizzo di documenti di identità falsi, intestati a persone inesistenti – alla movimentazione di ingenti somme di denaro di dubbia provenienza. L’attività investigativa, dunque, inizialmente diretta dalla Procura i Prato, è proseguita, dal 2017, con il coordinamento della competente Dda fiorentina, essendo emersi significativi collegamenti con la criminalità mafiosa siciliana.
Le complesse e laboriose indagini – realizzate attraverso intercettazioni telefoniche, ambientali, attività di video-registrazione, appostamenti, pedinamenti e l’esame di copiosa documentazione bancaria – anche con il supporto dello Scico della Guardia di Finanza, hanno consentito di accertare l’operatività di un’associazione a delinquere, ben organizzata e strutturata, la quale, al fine di immettere nel circuito economico denaro di provenienza illecita, ha creato e gestito – direttamente e tramite una serie di prestanome – una galassia di imprese con sedi in tutto il territorio nazionale ed in particolare in Toscana, Sicilia e Lazio (in totale 33), in parte reali ed effettivamente operanti ed in parte di fatto inesistenti in quanto sprovviste di qualsiasi idonea struttura imprenditoriale; tutte con oggetto sociale il commercio di pallet, ovvero le pedane in legno comunemente utilizzate per il trasporto e la movimentazione di vari tipi di materiale.
Lo scopo del sodalizio illecito era quello di riciclare, ostacolando l’identificazione della provenienza delittuosa, i proventi degli affari criminali della “famiglia mafiosa di Corso dei Mille” di Palermo, capeggiata da Pietro Tagliavia, condannato con sentenza irrevocabile per il reato di associazione mafiosa, figlio di Francesco Tagliavia, già esponente di vertice del mandamento di Brancaccio, condannato anch’egli all’ergastolo sia per la strage di via d’Amelio a Palermo che per quella di via dei Georgofili a Firenze. Gli indagati si erano messi a completa disposizione di Pietro Tagliavia, nel periodo in cui era detenuto nella casa circondariale di Prato, tanto da reperirgli nel 2017 un’abitazione a Campi Bisenzio (Firenze) dove aveva poi scontato gli arresti domiciliari e da fornirgli, clandestinamente ed in violazione delle prescrizioni imposte dall’autorità giudiziaria, un telefono con il quale mantenere i contatti anche con i propri sodali in Sicilia.
La provenienza dalla Sicilia di parte del denaro riciclato ha trovato conferma anche in molte conversazioni telefoniche intercettate e nei successivi riscontri investigativi. Nel corso delle indagini sono stati inoltre rilevati movimenti di denaro, evidentemente “ripulito”, a favore del capo-cosca palermitano. Il riciclaggio ha riguardato anche i proventi dei reati di emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, commessi sia nell’ambito dei rapporti tra le imprese gestite dal sodalizio che a favore di aziende ad esso estranee; queste ultime versavano – tramite bonifico – il corrispettivo degli importi falsamente fatturatigli, che tornavano poi nella loro disponibilità, in contanti, decurtati della percentuale del 10% a titolo di commissione.
In virtù di tali operazioni, che gli stessi indagati chiamavano – nelle conversazioni intercettate – “fantasmini”, le imprese beneficiarie estranee al sodalizio – oltre a garantirsi utili provviste “in nero” – potevano trarre evidenti vantaggi fiscali e porsi, quali concorrenti sleali, in posizione privilegiata nei confronti dei competitors del settore commerciale di riferimento. Per il sodalizio, invece, oltre al consistente guadagno, tali ulteriori flussi finanziari e commerciali, intrecciandosi con gli altri, contribuivano a rendere ancor più complicata la ricostruzione dell’operato delle società e delle ditte coinvolte.L’importo totale delle fatture false emesse ed utilizzate ammonta ad oltre 50 milioni di euro. La contestazione dei reati di riciclaggio ed autoriciclaggio concerne, negli anni tra il 2015 ed il 2018, una somma complessiva di circa 40 milioni di euro.
L’associazione a delinquere ha operato realizzando un imponente giro di denaro, per un importo totale di oltre 150 milioni di Euro, caratterizzato da continue operazioni di accredito e di addebito di somme anche ingenti, giustificate quali pagamenti di fittizie forniture di merce, tramite documentazioni contabili non di rado artatamente predisposte a posteriori. Dopo vari passaggi, talora – per confondere ancor di più le acque – intervallati da pagamenti di transazioni commerciali almeno in parte reali, per ultimo le somme erano quasi sempre prelevate in contanti dai conti di ditte inesistenti; a ciò provvedevano, mediante reiterati e frazionati prelevamenti anche nel corso della stessa giornata, emissari dell’organizzazione, ignari della presenza discreta dei Finanzieri che, poco distante, osservavano, annotavano e registravano. In alcuni casi la provvista creata era impiegata per eseguire ulteriori movimentazioni di denaro a favore di altre imprese del gruppo.
Il vorticoso giro di denaro ha trovato peraltro puntuale conferma nello sviluppo di 36 specifiche segnalazioni di operazioni sospette, rigorosamente riscontrate dai finanzieri di Prato, pervenute – tramite il Nucleo speciale di polizia valutaria – dagli operatori finanziari a ciò obbligati ai sensi della vigente normativa antiriciclaggio. Centrale, rispetto alla contestazione del reato di riciclaggio, il ruolo affidato alle numerose ditte inesistenti, appositamente create, da un lato per agevolare l’associazione mafiosa denominata “cosa nostra” attraverso la canalizzazione di un fiume di denaro sui conti correnti opportunamente accesi, gestiti e svuotati, per ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa di tali somme, dall’altro per consentire – attraverso il giro di fatture false – indebiti vantaggi fiscali e posizioni dominanti sul mercato.
Emblematico il caso di due cittadini dello Sri Lanka, titolari di altrettante ditte individuali – con oggetto sociale il commercio di pallet – con sedi dichiarate a Prato, ma di fatto inesistenti, sui cui conti correnti in circa due anni sono transitati, complessivamente, più di 20 milioni di euro. Il sistema illecito emerso ruotava attorno a due gruppi familiari di origine siciliana, imparentati tra loro, stanziati in Toscana ed in Sicilia. Fondamentale il ruolo assunto da uno dei dodici arrestati, un consulente del lavoro già sospeso dal proprio ordine professionale, incaricato della gestione finanziaria di talune imprese utilizzate dal sodalizio, nonché degli aspetti amministrativi, comprese le formalità inerenti alla costituzione delle ditte inesistenti, cui provvedeva utilizzando anche falsi documenti di identità. L’associazione a delinquere contava inoltre su una fitta rete di collaboratori, molti dei quali ricoprivano il ruolo di fittizi titolari di ditte inesistenti. IN ALTO IL VIDEO