di Raffaele Gaetano Crisileo (avvocato cassaziniosta e penalista) – Conviene rispettare le regole, in tempi di “Coronavirus”, per evitare di essere denunziati e di subire un processo penale le cui pene non sono uno scherzo. Chi viola la quarantena o viola le prescrizioni delle autorità rischia fino a 3 mesi di carcere o 206 euro di multa. Lo prevede la direttiva inviata dal Ministero degli Interni nella quale è prevista la violazione dell’articolo 650 del Codice Penale (inosservanza di un provvedimento di un’autorità, pena prevista arresto fino a tre mesi o l’ammenda fino 206 euro) salvo che non venga configurato un reato più grave come quella previsto dall’articolo 452 del Codice Penale (delitti colposi contro la salute pubblica che punisce le condotte che possono causare un pericolo per la salute pubblica)”.
La nostra attenzione, oltre che sull’articolo 650 del Codice Penale, si deve soffermare sui reati di epidemia dolosa (articolo 438) e di epidemia colposa (articolo 452). La prima, cioè l’epidemia colposa, è prevista dall’articolo 452. Ma chi commette un reato del genere? Come è noto vi incorre, ad esempio, colui che, consapevole di aver contratto il virus, continui a circolare liberamente diffondendo la malattia senza rispettare le disposizioni precauzionali imposte dal Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Poi vi è un’altra figura di reato, quella di epidemia dolosa, prevista dall’articolo 438, che ha la finalità di tutelare la pubblica incolumità. In sostanza, il legislatore mira a evitare che una malattia infettiva, che abbia già colpito un certo numero di persone, possa colpire altri cittadini, in modo da mettere seriamente in pericolo la sicurezza della salute della comunità.
Sappiamo che il termine “salute” ha un significato variegato, come l’equilibrio psico-fisico-ambientale, come l’armonico equilibrio delle funzioni fisiche e mentali delle persone e così via. Si tratta, dunque, di un reato di danno per la salute pubblica e il pericolo costituisce un suo effetto eventuale in relazione all’ulteriore capacità diffusiva dell’epidemia. In definitiva, affinché il delitto punito dall’articolo 438 del Codice Penale possa configurarsi è necessario che la condotta, consistente nella diffusione dì germi patogeni, causi la manifestazione collettiva di una malattia infettiva umana che si diffonde rapidamente colpendo un rilevante numero di persone. L’evento che ne deriva è, dunque, un evento di danno e di pericolo insieme ed è un reato di evento a forma vincolata, in quanto il soggetto deve cagionare l’evento dell’epidemia.
Ai fini della diffusione dei germi patogeni non è necessario che il soggetto e i germi siano delle entità separate, ben potendo aversi epidemia quanto l’agente sia esso stesso il vettore dei germi patogeni. Ciò significa che commette questo tipo di reato anche colui il quale, consapevole di aver contratto un virus, continui a circolare liberamente, diffondendo la malattia. Ma che cosa s’intende con il termine epidemia? Si intende una malattia infettiva capace di colpire contemporaneamente un gran numero di persone e di diffondersi ulteriormente per contagio, per poi attenuarsi dopo aver compiuto il suo corso.
Quali sono gli elementi caratterizzanti l’epidemia? Al riguardo, la giurisprudenza ha indicato come elementi dell’epidemia: il carattere contagioso della malattia; la rapidità della sua diffusione e la sua durata; il numero massiccio di persone colpite, tale da destare un notevole allarme sociale e un pericolo per la collettività; l’estensione territoriale ampia. L’epidemia riguarda esclusivamente le malattie umane. Il dolo consiste nella coscienza e volontà di diffondere germi patogeni, unite alla rappresentazione e alla volontà del contagio di un certo numero di persone. Un’altra figura da considerare è la epidemia colposa, prevista dagli articoli 438 e 452. Anche per questa fattispecie gli elementi essenziali del reato sono la diffusibilità, l’incontrollabilità del diffondersi del male in un dato territorio e su un numero indeterminato di persone. Il reato deve, perciò, escludersi se l’insorgere e lo sviluppo della malattia si esauriscano in un ambito ristretto, come in un ospedale.
Per l’epidemia colposa si deve stabilire se vi sia stata una diffusione imprudente e/o negligente di germi patogeni capaci di provocare quell’epidemia realmente verificatasi. La regola di prudenza che si va a infrangere può essere sociale o giuridica: per quest’ultima si può ipotizzare, ad esempio, l’inosservanza delle disposizioni per la prevenzione del “Coronavirus”. In conclusione, conviene rispettare le regole.