De Magistris: “Se al Dap ci fosse stato Di Matteo, Zagaria sarebbe rimasto in carcere”

di Redazione

«Oggi scrivo un post diverso, ai tempi della pandemia, non me ne vogliate, sulla Giustizia, dea spesso bendata. Ci pensavo domenica notte, dopo che in televisione il magistrato Nino Di Matteo, il pm della trattativa Stato-Mafia, raccontava agli italiani della sua mancata designazione a capo del dipartimento amministrazione penitenziaria. Se ci fosse stato Nino in quel posto non avremmo assistito alla inaccettabile scarcerazione dal 41 bis di boss del calibro di Pasquale Zagaria. La responsabilità politica del ministro della Giustizia mi appare evidente». Così, in un post pubblicato su Facebook, il sindaco di Napoli Luigi de Magistris interviene sulla recente vicenda delle scarcerazioni di detenuti di spicco della criminalità organizzata che hanno portato alle dimissioni l’ormai ex capo del Dap, Francesco Basentini.

«Ci pensavo stasera tornando a casa dopo aver fatto visita alla famiglia di Lino Apicella, il poliziotto di Napoli barbaramente ucciso nell’adempimento del suo dovere. – continua de Magistris – Ci pensavo rivedendo il video del reportage della Rai degno del servizio pubblico. Mafie e istituzioni. Non si parla più, ai tempi del coronavirus, di indagini eccellenti, come quelle che hanno portato all’arresto, per mafia, dell’avvocato Pittelli, uno dei protagonisti delle attività illecite che portarono, quando ero pm in Calabria, alla sottrazione delle indagini di cui ero titolare sul sistema criminale e al mio allontanamento da Catanzaro».

«Ci pensavo – scrive ancora nel post il sindaco de Magistris – leggendo del sequestro preventivo di somme di denaro nei confronti del magistrato Palamara, indagato per corruzione. Questi, quando furono fermati i pubblici ministeri di Salerno, che indagavano sulle attività criminali ai miei danni e del pool che mi coadiuvava, era presidente dell’associazione nazionale magistrati. Disse che “il sistema aveva dimostrato di avere gli anticorpi”. Un sistema criminale, a mio avviso. Ci pensavo, nell’apprendere che il magistrato Mario Fresa, relatore al Csm della vergognosa sentenza di condanna disciplinare nei miei confronti, in base alla quale furono fermate per sempre indagini sui rapporti tra `ndrangheta, politica, istituzioni, colletti bianchi e massonerie deviate, risulta, da notizie di stampa, accusato di gravi violenze nei confronti della moglie. Poco prima di questi era stata la volta del procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio, indagato per fatti assai gravi, anche lui negativo protagonista di vicende disciplinari ai miei danni. Elenco ancora più lungo, persone unite e determinate nel fermare uomini perbene che non facevano altro che servire lo Stato. Si sono messi in tanti e di impegno per strappare la toga».

«Avete raggiunto l’obiettivo – sottolinea l’ex pm – ma solo a metà. Hanno fermato la toga, il lavoro, le indagini, i processi. Ma la toga per me è un ideale, rappresenta la giustizia. L’ideale non si può strappare. È materia, ma anche spirito. Gli ideali non si possono uccidere. Esistono, rimangono, vivono, per sempre. La giustizia è più forte dell’ordine costituito che non di rado si fonda su una legalità formale ingiusta. La giustizia non deve essere esercizio di potere, ma potere per la ricerca della verità e per rendere effettiva l’uguaglianza. Senza uguaglianza sostanziale non c’è uguaglianza formale. Senza giustizia il potere è ordine non funzionale all’interesse del popolo, ma se c’è giustizia ci può essere ordine anche senza potere».

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