Napoli – Si definisce “fortunato” Antonio Corcione, primario di Anestesia dell’ospedale Monaldi di Napoli, che, dopo aver sconfitto il Covid-19, è pronto a donare il proprio plasma per trattare i pazienti ancora positivi. Il medico è stato uno dei primi a sottoporsi agli screening che da oggi vengono svolti in un ambulatorio dell’ospedale Cotugno di Napoli, attrezzato per effettuare tamponi e prelievi di sangue prima del via libera alla donazione di plasma iperimmune per il trattamento delle polmoniti da Covid. “Ho sempre lavorato immedesimandomi nei miei pazienti – ha raccontato Corcione alla Dire – Nella lotta contro il Covid sono passato realmente dall’altra parte della barricata e per fortuna sono stato ricoverato in questo ospedale (il Cotugno, ndr), ho ricevuto un trattamento eccezionale, sono stato curato da personale eccellente, attento, vicino ai pazienti e di un’umanità rara”.
Corcione si definisce fortunato perché’ il suo ricovero è durato solo otto giorni. “In quella settimana o poco più – ha spiegato – i miei indici infiammatori sono schizzati subito alle stelle. Ero un asintomatico e, quindi, senza un repentino prelievo ematochimico, probabilmente la sintomatologia da trombosi sarebbe comparsa troppo tardi, magari quando il trombo era già formato”. Ma non è andata così. Identificato subito come paziente Covid, Corcione è stato curato “con farmaci come il Tocilizumab (sperimentato al Cotugno e al Pascale di Napoli, ndr) e il Clexan (eparina per la cura della trombosi, ndr). Insomma, ho fatto immediatamente la terapia. Ora sto bene. Un mese dopo aver scoperto di avere il Covid sono tornato al lavoro al Monaldi. Siamo in prima linea per essere pronti a superare eventuali nuovi attacchi”.
La positività al coronavirus è venuta fuori quando si conosceva già tanto del Covid, e anche per questo Corcione si definisce fortunato. “Mi sono ammalato più tardi rispetto ad altri. Perfino noi medici all’inizio sapevamo poco di questo virus. Poi, purtroppo solo dopo le autopsie effettuate su pazienti deceduti a Milano e a Bergamo, abbiamo scoperto tanto, ad esempio che c’erano tanti pazienti con trombi per tutto il corpo, a livello renale, al fegato, al polmone, al cuore. La morte – ha aggiunto il primario del Monaldi – era causata anche da questo e, da lì, lo sviluppo di terapie che sono state un’arma in più per lottare contro questo male. Per me non è un ‘coronavirus’ ma un ‘canaglia-virus’ perché è come una piovra che può attaccare il paziente in ogni modo. Quando sono stato ricoverato in Campania il rapporto tra i pazienti morti e i guariti era impressionante: due morti per ogni guarito. Oggi non è più così”.