Dati gestori telefonici rubati e venduti a call center, 13 arresti. Regista un imprenditore campano

di Redazione

“Ma chi gli ha dato il mio numero di telefono?”, è la domanda che ci poniamo tutti quando riceviamo le telefonate dei call center che ci propongono offerte commerciali di tutti i tipi. Con l’operazione “Data room” la Polizia Postale ha fatto luce sull’attività di un’organizzazione criminale che rubava dati sensibili e li vendeva ai call center che procacciano nuovi clienti a varie aziende. Eseguiti 20 provvedimenti cautelari, tra cui 13 ordinanze che dispongono gli arresti domiciliari, e perquisizioni locali ed informatiche. Tra i reati contestati l’accesso abusivo alle banche dati dei gestori di telefonia che detengono le informazioni tecniche e personali dei clienti ed il trattamento illecito dei dati stessi.

Dall’indagine – partita nel mese di febbraio a seguito di una denuncia da parte di Telecom Italia i cui si si segnalavano vari accessi abusivi ai sistemi informatici gestiti da Tim – è emerso che le informazioni estratte dai database erano particolarmente appetibili per le società di vendita di contratti da remoto che cercano per l’appunto di intercettare la clientela più vulnerabile, a causa di problemi o disservizi, per proporre quindi il cambio del proprio operatore telefonico. Il complesso sistema vedeva da un lato una serie di tecnici infedeli in grado di procacciare i dati, dall’altro una vera e propria rete commerciale che ruotava attorno alla figura di un imprenditore campano, acquirente della preziosa merce ed a sua volta in grado di estrarre in proprio, anche con l’utilizzo di software di automazione, grosse quantità di informazioni, in virtù di credenziali illecitamente carpite a dipendenti ignari. I dati venivano poi venduti sul mercato dei call center, 13 sono quelli già individuati, tutti in area della Campania, sottoposti a perquisizioni. Adeguatamente “puliti”, i dati venivano utilizzati dai diversi call center, passavano di mano in mano, rivenduti a prezzi ridotti in base alla “freschezza” del dato stesso, motore di un movimento che alimenta il fenomeno delle continue proposte commerciali.

“E’ la prima indagine in cui viene applicata una fattispecie introdotta nel nostro ordinamento nel 2018, l’articolo 167 bis del testo unico della Privacy e che colpisce chi diffonde archivi personali procurando un danno”, hanno riferito il procuratore capo di Roma, Michele Prestipino, e il procuratore aggiunto Angelo Antonio Racanelli. “Le banche dati – hanno aggiunto – sono diventate un obiettivo molto appetibile per mettere in atto attività illecita”. Gli inquirenti hanno ringraziato Tim, “che è parte offesa, non solo ha denunciato ma ha supportato il lavoro della Polizia Postale con le sue strutture tecniche”. L’indagine è partita nello scorso mese di febbraio. Dagli accertamenti è emerso uno “scenario inquietante” e che ha confermato come “i dati personali di migliaia di ignari cittadini sono diventati merce preziosa”. IN ALTO IL VIDEO

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