I carabinieri del comando provinciale di Catania stanno eseguendo su tutto il territorio nazionale un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip del tribunale etneo, nei confronti di venti persone, tutte ritenute responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, estorsione, ricettazione, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti e altri reati. Smantellata una organizzazione mafiosa, legata alla famiglia Santapaola-Ercolano di Cosa nostra catanese, guidata dallo storico boss Pietro Puglisi nonostante la detenzione in carcere di quest’ultimo. L’inchiesta della Dda di Catania è denominata ‘Malupassu’.
L’inchiesta ha portato 18 persone in carcere e due agli arresti domiciliari. Raggiunti dal provvedimento esponenti “apicali” e presunti affiliati alla famiglia mafiosa dei Santapaola-Ercolano: le indagini, che hanno preso in esame un periodo che va dal 2017 al 2018, hanno disarticolato un clan che dettava legge nel territorio di Mascalucia sotto la direzione dei familiari dello storico boss ergastolano Puglisi, oggi detenuto al carcere duro ma in quel periodo non ancora sottoposto al regime del 41bis. La gestione del gruppo, prima della scarcerazione dei figli di Puglisi, Salvatore e Giuseppe, sarebbe stata demandata a Salvatore Mazzaglia, Mirko Pompeo Casesa e Alfio Carciotto. I tre, finiti in carcere, si sarebbero avvalsi della collaborazione dei fratelli Bonanno, tra cui Salvatore Bonanno, poi diventato collaboratore di giustizia. La guida del clan ritornò poi a Salvatore Puglisi, figlio del boss, al momento della scarcerazione, nel 2017.
Tra le attività illegali portate avanti dal gruppo quella delle estorsioni: una di queste è stata denunciata dai fratelli Giovanni e Salvatore Carmeni, titolari di una ditta di costruzioni, che hanno riferito ai carabinieri di un biglietto intimidatorio ritrovato in un loro cantiere. Molti altri commercianti e imprenditori hanno poi trovato il coraggio di ammettere le estorsioni di cui erano vittime: 15 gli episodi di estorsione ricostruiti. Secondo i carabinieri a reggere le fila del clan ci sarebbe stato sempre lo storico boss Pietro Puglisi, che “esercitava l’azione di comando dal carcere attraverso i figli Salvatore e Giuseppe”. Il denaro estorto alle vittime veniva destinato al mantenimento dei componenti del clan. Secondo gli inquirenti il clan “imponeva la sua forza e dominio del territorio anche con il traffico di marijuana e hashish”, con l’intento anche di acquisire la gestione diretta o indiretta di attività economiche. IN ALTO IL VIDEO