Sgominata dalla polizia la “locale” di ‘Ndrangheta a Verona, una struttura autonoma ma riconducibile alla cosca degli Arena-Nicoscia di Isola Capo Rizzuto, in provincia di Crotone. L’inchiesta, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Venezia, ha portato all’emissione di 26 misure cautelari nei confronti di altrettanti indagati accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, truffa, riciclaggio, estorsione, traffico di droga, corruzione, turbata libertà degli incanti, trasferimento fraudolento di beni e fatture false. In carcere sono finite 17 persone, 6 agli arresti domiciliari, per altre 3 disposto l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
Le indagini sono state condotte tra il 2017 ed il 2018 da un gruppo di lavoro composto dagli investigatori della prima divisione del Servizio Centrale Operativo (Sco) della Polizia e dai poliziotti delle squadre mobili di Verona e Venezia, e hanno portato alla luce quelli che vengono ritenuti «gravi indizi» relativi alla presenza della locale di Ndrangheta a Verona. Il boss della ‘Ndrangheta che gestiva l’organizzazione nel veronese è Antonio Gardino, detto “Totareddu”, uomo vicino alla cosca Arena-Nicoscia. L’attività del gruppo mafioso – è stato detto da inquirenti e investigatori a Venezia – ha portato al sequestro di 15 milioni di euro frutto di un’attività volta al riciclaggio ed allo spaccio di stupefacenti, con società fittizie che evadevano il fisco e creavano provviste di denaro.
Non un fenomeno mafioso tradizionale ma organizzato con una rete di contatti nel territori – come hanno sottolineato il procuratore di Venezia Bruno Cherchi e Francesco Messina, dell’anticrimine – che ha coinvolto la municipalizzata veronese Amia per lo smaltimento dei rifiuti, che faceva circolare denaro, corsi di formazione, con due dirigenti che sono tra gli indagati. Il denaro gestito nel veronese giungeva dalla Calabria, veniva riciclato per lo più attraverso imprese edili portando ai reati di riciclaggio, estorsione ed evasione fiscale. IN ALTO IL VIDEO