di Salvatore Costanzo (architetto) – Scopo di questo scritto è quello di cercare di fornire alcuni solidi appigli a chi voglia districarsi nella selva della produzione scultorea napoletana dell’Ottocento, attraverso nuovi apporti e chiarimenti sul percorso di alcuni artisti e sui modelli di riferimento adottati in ambiti lavorativi. A distanza di ventisette anni dalla mia prima monografia su Onofrio Buccini (1), (scultore noto a Napoli per la fontana della Sirena Partenope in piazza Sannazaro), sento la necessità di ritornare sull’attività dell’artista di Marcianise per fare una precisazione. Essa vuole essere rivolta esclusivamente ad approfondire aspetti significativi che di solito gli “addetti ai lavori” incontrano nello studio della storia dell’arte: riconsiderare l’operato di taluni autori alla luce di nuovi dati documentari, molti dei quali inediti. L’opera da riesaminare è un monumento a cui i napoletani sono molto affezionati: il “Giambattista Vico” ubicato nella Villa Comunale di Napoli, la cui vera paternità, fino ad oggi, non è stata ancora interpretata nella sua concreta dinamica storico-culturale.
Sulla scultura, ufficialmente realizzata da Leopoldo di Borbone, conte di Siracusa, fratello di Ferdinando II, evidenzieremo delle informazioni emergenti, cercando di apportare chiarificazioni in merito ad aspetti significativi contrattuali legati al Municipio di Napoli, offrendo un numero sufficiente di notizie collocate nel loro preciso contesto storico-interpretativo. Come criterio-base nell’impostazione di questa nuova pagina di storia dell’arte napoletana, ho tenuto in giusto rilievo il valore conoscitivo di alcuni scritti, di cui solo oggi sono venuto a conoscenza: una preziosa scheda dell’iconografia vichiana redatta da Giovanni Vitolo (2), e una lettera datata 20 ottobre 1861, scritta dal ministro dell’Interno al luogotenente Cialdini, in cui sono sintetizzati i “fatti veri sulla controversia nata fra l’eredità del conte di Siracusa ed il Municipio di Napoli riguardo il monumento di Giambattista Vico” (3). Diciamo subito che il profilo di questa missiva, fa largo posto, in concordanza cronologica, con la sintesi degli avvenimenti storici degli inizi del decennio ’60, offrendo una visione del contesto politico, sociale ed artistico entro cui sistemare eloquenti episodi legati alle vicende del Monumento al Vico. Alcuni passi della lettera recano, con numerose notizie contrattuali, anche particolareggiate, notazioni e giudizi che danno la misura del clima politico alquanto agitato in quel momento e, soprattutto, evidenziano il labirinto di polemiche venutosi a creare dopo la morte del conte di Siracusa (avvenuta il 4 dicembre 1860), in vista dell’imminente cerimonia d’inaugurazione del monumento prevista per il 21 ottobre 1861 (4).
Ma volendo riportale il filo del discorso sull’identità degli esecutori effettivi della scultura al Vico, occorre tener presente alcuni passi riportati dal Vitolo in un suo scritto, incentrati sulla figura di Leopoldo di Borbone e i suoi collaboratori: “(…) faceva sfoggio di liberismo, atteggiandosi a protettore di artisti e letterati. Artista egli stesso, anche se voleva lasciar credere di valere più che non fosse, aveva un certo talento e fu autore di diverse opere… Al “Giambattista Vico” lavorò insieme al Liberti, al Masullo e all’Angelini, creando un’opera che se suscitò gli sperticati elogi dei contemporanei, in realtà era un tipico prodotto della scultura neoclassica napoletana caratterizzata da uniformità di linee e movenze, senza che, attraverso le forme corrette, trasparisse un barlume di vita interiore. Tuttavia non si può negare all’opera del conte di Siracusa un certo decoro e lo sforzo di ritrarre, sia pure attraverso la trasfigurazione delle forme neoclassiche, le fattezze del Vico quali egli poteva conoscere attraverso l’incisione del Sesone”(5). Questa testimonianza, mentre ci da alcuni utili ragguagli sulla personalità artistica del conte e sull’elenco dei nominativi (certamente incompleto) dei realizzatori del monumento, non ci consente di seguire con precisione le varie fasi della creazione della scultura. Pur rispondendo solo in parte ai tantissimi interrogativi che suscitano i caratteri stilistici e formali del modello della statua del Vico, il documento non registra la partecipazione di Onofrio Buccini alla lavorazione dell’opera.
Un punto chiave per ampliare le nostre conoscenze sulla personalità di Leopoldo II di Borbone, “dilettante e mecenate delle belle arti”, resta l’autobiografia del Buccini che ci informa sul lungo soggiorno (della durata di dodici anni) dell’artista marcianisano nello studio di S.A.R. il Conte di Siracusa. Occorre premettere che i caratteri degli scritti bucciniani riferiti al conte (6), bene esprimono la sequenza delle opere e rappresentano tappe di ampia risonanza artistica e fonte di infinite citazioni storiche scelte tra le molte altre del territorio napoletano. I contatti e le frequentazioni nello studio di Leopoldo aprono uno squarcio interessantissimo su un periodo intenso della vita artistica-culturale del Buccini (7), punti fermi, oggi, nella ricostruzione delle vicende legate al Monumento al Vico. Quanto ai collaboratori del conte, il Buccini si sofferma sui nomi dello scultore Francesco Liberti, “modellatore dei concetti del principe”, del fonditore Pietro Masulli, dell’ornatista Ernesto Aveta, dell’abbozzatore Giuseppe Pirolli e dell’incisore Luigi di Chiaia. L’ambiente di lavoro che ci descrive è da ritenere grandioso e fornito di tutte le attrezzature necessarie per la buona riuscita delle opere. Onofrio narra che il primo incarico affidatogli dal conte fu il completamento della statua in marmo rappresentante una Baccante dal vero, a cui fecero seguito Due Preghiere, la Statua di Saffo, le Stagioni, l’Eva, una Nereide a cavallo di un animale marino, il Genio delle arti, il Gruppo di Cristo destinato al Cimitero di Poggioreale, una serie di Busti-ritratti, e la grandiosa statua di Giovan Battista Vico, che trovasi attualmente nella Villa Comunale di Napoli. Ed è lo stesso scultore marcianisano a sottolineare che la paternità di questi lavori veniva attribuita al principe Leopoldo II, il quale, sul basamento di ciascun lavoro, faceva incidere il suo nome ricompensando lautamente il Buccini. E’ interessante osservare che per rendere credibile la sua produzione artistica, il principe era solito farsi trovare da solo nello studio nelle vesti di scultore in occasione delle visite di autorità straniere.
Ma tornando più specificamente al Monumento al Vico, va rilevato che nell’autobiografia di Onofrio sono piuttosto limitate le testimonianze in cui ci è dato di leggere precisi riferimenti sulla realizzazione dell’opera da parte dello stesso scultore; si tratta di pagine che sono state saggiate e utilizzate già a sufficienza da chi scrive come da una parte della letteratura cresciuta negli ultimi tempi su molti aspetti della produzione bucciniana; pagine su cui, comunque, manca una vera ragione per dubitare delle informazioni. Da un’esame ravvicinato della scultura di Giambattista Vico, un cenno a parte meritano i richiami stilistici e compositivi dell’opera che confermano – dal nostro punto di vista – non solo la sua pertinenza certa al “corpus” dei lavori del Buccini, ma anche la specificità dei panneggi del filosofo: sono stringenti, ad esempio, le concordanze con le vesti della “fanciulla” del Gruppo alla Carità di Marcianise, contrassegnate da un cospicuo trattamento chiaroscurale e dalla cura minuziosa dei particolari. In entrambe le figure sono facilmente leggibili quei caratteri distintivi che rivelano una sostanziale adesione alla connotazione plastica del neoclassicismo bucciniano, tipica del repertorio del maestro tra lo scorcio degli anni Cinquanta e gli inizi del Settanta.
Da quanto sopra esposto è importante mettere in luce che siamo di fronte ad un monumento che per ragioni di evidenza stilistica e di tenuta qualitativa, è frutto di una collaborazione collettiva a più mani. Ma sulle varie fasi di esecuzione non ci è dato sapere né i contributi forniti dai singoli protagonisti, né le eventuali modifiche e variazioni prima del completamento della statua. Eviteremo perciò di sottolineare altri tentativi e sforzi – sebbene legittimi – sulla partecipazione in misura prevalente all’opera da parte del Buccini, che richiederebbero prove documentarie più efficaci per puntualizzare la piena attribuzione del monumento al maestro di Marcianise. E potremmo continuare, per concludere comunque che questo nuovo quadro di informazioni non può non riflettersi sul monumento e rendere ragione delle oscillazioni attributive che l’opera continua a generare, in quanto ancora non sono state poste a fuoco tutte le sue diverse componenti come sarebbe stato necessario. Il problema resta molto complesso; al di là delle inconfondibili affinità stilistiche e tipologiche del monumento pienamente inserito nel contesto culturale e artistico del Buccini, non possiamo considerarlo del tutto risolto ed è probabile che possa costituire per studiosi e ricercatori ulteriori occasioni di approfondimenti, di dibattito e di collegamenti.
Note – (1) Cfr. S. Costanzo, Onofrio Buccini e la scultura napoletana dell’Ottocento, Clean Edizioni, Napoli 1993. Il volume ripercorre l’intero itinerario stilistico e tematico del valente scultore campano. Le sue opere più alte (Fontana della Sirena Partenope di Napoli, Gruppo alla Carità di Marcianise, Monumento al Vanvitelli di Caserta) recano sempre l’impronta neoclassica di una mano maestra, aperta tanto alle nuove esigenze realiste quanto alle collaudate spinte romantiche; (2) Cfr. Bollettino del Centro di studi vichiani, V, 1975, pp. 153-156; (3) Archivio di Stato di Napoli, Dicastero dell’Interno e Polizia, Gabinetto 1861, esp. 176, fasc. 1722;
(4) Per evidenti motivi di economia, riportiamo solo la parte introduttiva della missiva:“(…) Questo (Municipio di Napoli) credeva esser donatario della statua di Vico per benevolenza del Conte di Siracusa. L’amministrazione di Casa Reale allegava che questo dono doveva essere accompagnato dal peso del pagamento di D. 13.00. Il Comune di Napoli ebbe il pensiero di chiarire se questa pretensione dei D. 13.00 fosse stata vera volontà del defunto Principe o zelo intempestivo dell’Amministratore. Dubbio non irragionevole, sia per la generosità del defunto Principe, sia per l’indole comune agli amministratori di essere o troppo o niente zelanti, sia per la poco buona opinione del Tamaio che vive vita immorale con la moglie di Scotti ed è amico sviscerato dell’ordine politico caduto e quindi tacito ed istintivo oppositore di ogni cosa che facesse l’attuale amministrazione (…)”. Archivio di Stato di Napoli, op. cit.;
(5) Cfr. G. Vitolo, Bollettino del Centro di studi vichiani, op. cit.; (6) Cfr. Autografo dello scultore Cav. Onofrio Buccini esistente nella Biblioteca del Museo Campano di Capua. Unico esemplare fedelmente copiato nell’ottobre 1892. E. de Rosa. In un denso elenco cronachistico, il Buccini ci dà notizie di sé e dei fatti più salienti della sua vita, con uno stile spigliato e sanguigno, libero da ogni impaccio, che riflette il suo carattere impulsivo e collerico. Non va dimenticato che, qua e là nel testo sono disseminate felici intuizioni artistiche che ancora oggi vivono di valida vita. Il resoconto di Onofrio Buccini è molto importante giacché indica, nella mancanza di notizie certe sulla formazione di numerosi artisti, tra cui molti ‘minori’, utili riferimenti diretti sulla loro attività, talvolta accompagnati da investiganti pensieri e considerazioni; (7) Sul soggiorno del Buccini nello studio di Leopoldo di Borbone, cfr. S. Costanzo, Onofrio Buccini, 1993, op. cit., p. 120.