Il caso del sostituto procuratore della Repubblica Luca Palamara, ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, già componente del Consiglio Superiore della Magistratura, che è stato espulso dall’Anm, è sotto i riflettori da settimane. Le intercettazioni del suo telefonino pubblicate su tutti i media hanno rivelato, per la spartizione delle nomine negli uffici giudiziari, patti, manovre e accordi che hanno fatto letteralmente trasalire l’intera pubblica opinione. Sta di fatto che la magistratura ora si trova nel pieno di un uragano che rischia di incrinarne l’immagine e la credibilità. Sulla vicenda abbiamo chiesto un commento a tutto campo al senatore Pasquale Giuliano (nella foto con Raffaele Cantone), ex magistrato, già presidente dell’Anm di Santa Maria Capua Vetere, capogruppo in Commissione Giustizia alla Camera e al Senato e Sottosegretario alla Giustizia del governo Berlusconi.
Senatore Giuliano, quali sono le ragioni per le quali la magistratura sta vivendo un momento così brutto? Credo che quella che sta vivendo sia la crisi più profonda e drammatica della Magistratura. Basti considerare che non c’è forza politica che non riconosca, insieme all’’Avvocatura, la necessità di una urgente riforma che investa tutto il sistema-giustizia: dal Consiglio superiore della magistratura, al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, fino alla separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri e alle cosiddette porte girevoli tra Politica e Magistratura. La stessa Anm, bersaglio di accese critiche e indebolita da numerose dimissioni, è stata “costretta” a riconoscere l’urgenza di un intervento riformatore, tant’è che ha messo sul tavolo della discussione anche questioni verso le quali in passato non aveva mostrato interesse o aveva espresso contrarietà. Le ragioni principali della crisi vanno innanzitutto ricercate nella consistente degenerazione del cosiddetto “correntismo” della Magistratura e nell’affermarsi di logiche e pratiche – per usare un eufemismo – del tutto improprie tra Politica e Csm. In un passato non lontano la dialettica tra le correnti dell’Anm e tra Csm e Politica era di elevato spessore e si articolava all’interno del solo perimetro culturale, etico, ideologico della Giustizia e della sua stessa gestione. Basti ad esempio pensare al dibattito sul tema della Giustizia come servizio o piuttosto come esercizio di un Potere o a quello su una innovativa interpretazione ed applicazione della Carta costituzionale e delle leggi alla luce della mutata e mutevole dinamica socioeconomica del Paese.
Ma è la politica che ha inquinato la magistratura? Nel Csm i rapporti tra Politica e Magistratura sono assolutamente fisiologici, tant’è che furono ritenuti istituzionalmente “utili”, per evitare che la Magistratura si chiudesse, isolandosi, in quella che allora veniva chiamata la sua turris eburnea. L’interlocuzione, infatti, fu ritenuta auspicabile e feconda e fu sacramentata proprio dai nostri Padri costituenti. I quali previdero che l’organo di tutela dell’autonomia e dell’indipendenza della Magistratura fosse costituito per un terzo da membri eletti dal Parlamento in seduta comune e che il suo vicepresidente dovesse essere scelto proprio tra questi ultimi. Il problema, come dicevo, è legato alla corretta impostazione, dinamica e finalità di questi rapporti, che vanno ordinati e articolati in un contesto, in una logica e in una finalità del tutto diversi e del tutto lontani da quelli di fatto sinora consolidatisi e rivelatisi tra il generale sconcerto.
Favorevole o contrario alle porte girevoli tra politica e magistratura? Non si può, in radice, negare al Magistrato il suo sacrosanto diritto a partecipare, candidandosi, alla vita politica del Paese. La Costituzione e la legge infatti non glielo negano, ma fissano solo termini e modalità per una sua candidatura. Credo però che spetti poi allo stesso Magistrato valutare la “opportunità”, ove non eletto o non rieletto, di servirsi della porta girevole per tornare nei ruoli. Personalmente, ad esempio, ho ritenuto che fosse da evitare il rientro per non alimentare riserve e sospetti sulla terzietà ed imparzialità della Giurisdizione e, nel mio piccolo, sulla mia stessa credibilità di Politico e di Magistrato. Del resto, se la Politica è seriamente convinta che questa alternanza sia nociva all’immagine e allo stesso esercizio della Giurisdizione, può facilmente evitarla: basta che non candidi più i Magistrati.
Quale potrebbe essere una riforma del Csm? E’ favorevole al sorteggio dei suoi componenti? La principale ed ineludibile finalità dovrà essere unica e chiara. La riforma va pensata e scritta nell’ottica di cancellare in maniera efficace le profonde e inaccettabili degenerazioni del correntismo. Le modalità ci sono, vanno lealmente discusse e trovate con un’auspicabile condivisione unanime, se veramente si vuole evitare che si ripeta quanto accaduto. Il ricorso al sorteggio per la composizione del Csm non mi sembra una soluzione ragionata. A parte che è contro la lettera della Costituzione, che, appunto, prevede l’elezione, sa troppo di superenalotto e, tra l’altro, rischia di premiare ad una funzione così delicata componenti non adeguati cui va riconosciuto il solo “merito” di essere stati baciati dalla fortuna.
Ma basterà la sola riforma del Csm a recuperare il terreno perduto? Sarà solo un importante ma piccolo passo. E tempo ormai di pensare anche alla separazione delle carriere e a valutare con attenzione una circostanza sinora poco nota e “pubblicizzata”: la rappresentanza e la rappresentatività dell’ordine magistratuale è, di fatto, anche mediaticamente, in gran parte affidata a Magistrati del pubblico ministero, che però in percentuale sono meno di un quarto dei giudicanti. Questo dato, ci si deve interrogare, ha avuto una certa influenza anche nella genesi e nel contesto di questa crisi? Bisognerà poi mettere mano al processo penale, diventato sempre di più il processo dei pubblici ministeri; andrà riconsiderato il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, di fatto, affidata a valutazioni discrezionali; è necessario, inoltre, rivedere la disciplina della custodia cautelare, a fronte della significativa e tragica percentuale di imputati carcerati ma poi assolti e della ingente somma che annualmente sborsa lo Stato per la loro ingiusta detenzione; e, da ultimo ma non per ultimo, a mio parere, va subito cancellata la nuova disciplina sulla prescrizione, diventata l’imbarazzante certificazione dello Stato circa la sua incapacità di garantire quel giusto e celere processo previsto dalla sua stessa Carta fondamentale. Credo che l’attuale disciplina della prescrizione debba essere ricordata solo per l’introduzione del ripugnate ed inammissibile neo-principio del “fine processo mai”. Va da sé, infine, che questa auspicabile e generale “rivisitazione” del sistema-giustizia dovrà avvenire alla luce della fondamentale e irrinunciabile garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza della Magistratura.