Aversa (Caserta) – Diciotto chiese del Casertano di proprietà del Ministero degli Interni da riconoscere quali siti di interesse culturale al fine di poterle far accedere ai fondi pubblici e all’8×1000, e procedere così alla loro ristrutturazione e recupero. Era l’obiettivo del protocollo d’intesa firmato il 10 luglio 2018 alla prefettura di Caserta dal prefetto Raffaele Ruberto, promotore del progetto, dal rettore Massimo Paolisso dell’Università degli Studi della Campania «Luigi Vanvitelli» e dal Sovrintendente ai beni architettonici di Caserta e Benevento Salvatore Buonomo.
Tra gli edifici di culto coinvolti nel progetto cinque erano (e sono) ad Aversa vale a dire Sant’Antonio da Padova al Seggio, San Biagio, San Domenico, San Girolamo (crollato il 17 dicembre 2019) e Santa Maria delle Grazie. Il protocollo d’intesa mirava a coinvolgere gli studenti del Dipartimento di Lettere, in particolare coloro che frequentavano i corsi di Laurea di Consevazione dei Beni Culturali e Archeologia, ai quali sarebbe stato affidato il colpito di effettuare controlli approfonditi sulle chiese. “L’obiettivo del lavoro di verifica da parte degli studenti – spiegava il sovrintendente Buonomo – è creare un patrimonio conoscitivo che ora manca e che noi utilizzeremo per classificare il bene come sito di interesse storico, meritevole quindi di essere recuperato”.
Stando a quanto affermato in quella occasione, il Ministero aveva già messo a disposizione, per gli edifici che avrebbero ottenuto il riconoscimento di siti di interesse storico-artistico, la somma di 70 milioni di euro, che si sarebbero andati ad aggiungere alle risorse provenienti dall’8×1000. Due anni dopo che cosa si è fatto? Forse il lavoro di verifica da parte degli studenti? Forse la classificazione dei beni definibili quali siti d’interesse storico, quindi meritevoli di essere recuperati? Forse! Di ufficiale non c’è alcuna notizia. La sola che siamo stati in grado di ottenere ci è stata fornita dell’ingegnere aversano Oreste Graziano della Soprintendenza che fu incaricato dalla Prefettura di ispezionare il complesso e metterlo in sicurezza eliminando, fra l’altro, le infiltrazioni d’acqua provenienti dal tetto. L’operazione, realizzata con una spesa di circa 40 mila euro erogati dal Ministero dell’Interno Fondo Edifici di Culto, fu portata a termine ma solo per la parte di proprietà del Ministero, perché la parte restante, quella confinante con l’ex ufficio acquedotto, come ricordò il tecnico, era di proprietà comunale. Di conseguenza, anche se era stata effettuata la messa in sicurezza della parte di proprietà ministeriale del complesso non sarebbe stato possibile certificarne l’agibilità.
Così, il complesso, chiesa e convento, dedicato a Sant’Antonio, edificato nel 1230, ovvero un anno prima che il santo volasse in cielo, resta chiuso e il prossimo novembre saranno ormai tre anni, aspettando che qualche evento naturale lo faccia venir giù come accaduto per il convento di San Girolamo, privando la città di una perla d’arte architettonica e pittorica che vanta il titolo di essere stata la prima chiesa al mondo dedicata al santo che amava Padova. Unica speranza è che la nuova amministrazione e, in particolare l’assessore alla Cultura, si attivi in tempo per impedire quello che potrebbe rivelarsi un disastro annunciato.