La crescita dei contagi da coronavirus ormai è senza controllo. E’ un fatto accertato che nessuno può smentire. E man mano che sale la curva epidemica, in modo direttamente proporzionale crescono anche i disservizi. Quando si verifica un caso di positività in una famiglia nella stragrande maggioranza dei casi si trasforma in un calvario che si può solo sperare che termini il prima possibile. Senza la possibilità di reperire informazioni. Senza la possibilità di chiedere spiegazioni. Si è catapultati in una sorta di limbo dal quale non è per niente facile venirne fuori. E non solo per quanto riguarda la malattia in sé.
Chi scrive sta tutt’oggi vivendo uno di questi pesantissimi disservizi, avendo un positivo al Covid in famiglia. Un fratello confinato in una stanza dove è “imprigionato” da quasi tre settimane (momento in cui sono comparsi i sintomi). Immediatamente è stata informata l’Asl. Dopo un giorno e mezzo sono giunti gli addetti per praticare il tampone rinofaringeo. Altri due giorni di attesa e arriva il risultato: positivo. E partono i 10 giorni di isolamento previsti dalla normativa. Un primo gap: perché l’isolamento dovrebbe partire dal momento in cui viene effettuato il tampone perché è in quel momento che materialmente viene riscontrata la positività al Sars-Cov2.
Ma sorvoliamo. Intanto, il buonsenso ci ha suggerito di non attendere di avere la certezza: nel frattempo erano state già prese tutte le precauzioni possibili per evitare che il resto del nucleo familiare subisse la stessa sorte del contagiato. Il giorno successivo al riscontro della positività viene fatta richiesta all’Asl di competenza per effettuare il tampone anche su resto della famiglia. Non è venuto più nessuno. Passano i giorni e a dieci giorni dal tampone al contagiato gli altri tre componenti della famiglia fanno il tampone in uno dei centri privati accreditati dalla Regione Campania: esito negativo. Un po’ per fortuna, un po’ per la correttezza dei comportamenti adottati, è stato possibile limitare il problema ad uno solo dei componenti del nucleo familiare.
Passano i dieci giorni calcolati dall’Asl e il giorno successivo viene effettuato il tampone di controllo all’interessato dal contagio. Ad oggi sono passati ulteriori 5 giorni e il risultato non arriva. Ora, una famiglia è cosciente di tutte le problematiche collegate all’aumento continuo di contagi, è cosciente che i distretti sanitari soffrono di eterni gravissimi problemi che insistevano già in condizioni normali, è cosciente anche della drammatica carenza di personale, è cosciente di vivere in un territorio dove la normalità di qualsiasi cosa è considerata come un’utopia, è consapevole di tutto quanto…ma, anche alla luce di queste considerazioni, una persona quanto tempo deve aspettare per l’esito di un tampone molecolare?
Quanto tempo per essere liberato dalla ‘detenzione’? Esiste un limite massimo di tempo? E nel caso l’interessato dal contagio a questo tampone di controllo il cui esito non arriva risultasse ancora positivo, gli ulteriori dieci giorni di isolamento partirebbero dalla data dell’esito stesso, anche se è trascorsa quasi già una settimana? Se esistesse un organo in grado di fornire queste risposte, si potrebbe già vivere in una situazione di relativa tranquillità. Ma non esiste. La speranza è l’unica cosa alla quale ci si può aggrappare. La normalità è un optional.