11 persone tratte in arresto dai carabinieri nell’ambito dell’operazione antimafia “Alta tensione” condotta tra Bari e provincia e coordinata dal procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia Francesco Giannella, insieme ai sostituti Lidia Giorgio e Marco D’Agostino. Sei degli arrestati sono ritenuti responsabili dell’omicidio di Fabiano Andolfi, 33 anni, avvenuto il 14 gennaio 2018. Gli altri cinque rispondono di agguati e vicende criminali successivi all’omicidio. – continua sotto –
L’assassinio di Andolfi sarebbe stato ordinato dal boss Vincenzo Anemolo, al vertice dell’omonimo clan che controllava sul rione le estorsioni ai commercianti, e da Francesco Cascella del clan Palermiti che aveva invece il controllo dello spaccio. Andolfi, ex affiliato ad Anemolo, era passato ad un altro clan, quello dei Capriati ma pretendeva di continuare a spacciare lì. Ad eseguire materialmente il delitto sarebbe stato Filippo Cucumazzo. Quel giorno il sicario, accompagnato in moto da Domenico Giannini, avrebbe suonato il citofono di casa dei nonni di Andolfi, dove l’uomo era agli arresti domiciliari, simulando un controllo delle forze dell’ordine e spacciandosi per un carabiniere. Sarebbe stata proprio la nonna ad aprire la porta e, una volta dentro, Cucumazzo avrebbe sparato ferendo mortalmente il 33enne. I due poi sarebbero fuggiti, aiutati nella fuga e nel liberarsi delle armi da altre due persone, Donato Maurizio Di Cosmo e Giovanni De Benedictis. – continua sotto –
Andolfi sarebbe stato punito anche per un affronto al capoclan. Qualche giorno prima, infatti, avrebbe offeso pubblicamente Vincenzo Anemolo all’interno di un locale del quartiere. Dell’intenzione di uccidere Andolfi sarebbe stato informato anche il boss Filippo Capriati, suo nuovo capo, che non si sarebbe opposto. Il fratellastro di Andolfi, Roberto Mele (anche lui arrestato), avrebbe poi cercato vendetta, girando con una pistola carica alla ricerca degli assassini del fratello. Dopo l’omicidio il clima di tensione sarebbe stato alimentato anche da Cucumazzo, il quale avrebbe preteso dal clan un grado più alto e più soldi, minacciando di diventare un collaboratore di giustizia. Anemolo ne avrebbe quindi ordinato la morte e infatti due sodali avrebbero tentato di ucciderlo alcuni mesi dopo. Cucumazzo si sarebbe allora vendicato commettendo due rapine ai danni di un circolo privato che era sotto il controllo degli Anemolo e, come reazione, il boss avrebbe ordinato l’acquisto di bombe e mitragliatori. IN ALTO IL VIDEO