Dopo due rinvii è iniziato, nel Nuovo Palazzo di Giustizia di Napoli, il processo sulla morte di Antonio Giglio, il bimbo di 4 anni precipitato dalla finestra di un’abitazione del Parco Iacp di Caivano (Napoli), il 28 aprile 2013. Gli imputati, Raimondo Caputo e Marianna Fabozzi, rispettivamente accusati di favoreggiamento e omicidio volontario, erano collegati in videoconferenza con la seconda Corte di Assise. – continua sotto –
Dopo l’acquisizione, da parte degli avvocati, di quasi tutti gli atti processuali, è stata fissata per il prossimo 20 aprile la successiva l’udienza che sarà dedicata esclusivamente alla testimonianza di Antonietta Caputo, sorella di Raimondo Caputo, principale accusatrice di Marianna Fabozzi, ex convivente di Raimondo, detto “Titò”, e madre del piccolo Antonio. La sorella dell’imputato, all’epoca dei fatti, riferì agli inquirenti di aver visto, mentre era in casa, Marianna, riflessa in uno specchio, lasciar cadere il bimbo dalla finestra. L’imputata, invece, disse agli investigatori che figlio era caduto dopo essersi affacciato per vedere un elicottero in volo. Per fare luce su questa circostanza, l’avvocato Sergio Pisani, legale di Gennaro Giglio, papà di Antonio, nell’ambito delle sue indagini difensive, ha inoltrato all’Enac un’istanza affinché verifichi se quel giorno, all’ora in cui avvenne la tragedia, sul parco Iacp di Caivano (Napoli) c’era un velivolo in volo. – continua sotto –
Ma la coppia Caputo-Fabozzi è coinvolta anche in un’altra vicenda analoga. Antonietta Caputo, infatti, è la madre di Fortuna Loffredo, deceduta il 24 giugno 2014, anche lei dopo essere caduta nel vuoto dallo stesso palazzo e nello stesso parco di edilizia popolare. Sia Raimondo Caputo che Marianna Fabozzi erano già stati indagati in passato proprio per la morte di Fortuna, che sarebbe stata vittima di abusi da parte dello stesso Raimondo e morta dopo essere stata scaraventata dal balcone di casa. Ad essere condannato all’ergastolo fu proprio Raimondo Caputo, mentre sono stati inflitti 10 anni alla Fabozzi perché, secondo i giudici, era a conoscenza delle violenze sessuali subìte dalla figlia più piccola, amica di Fortuna, ad opera di “Titò”, ma non le aveva né denunciate né fatto nulla per impedire che si ripetessero.