“Migliaia di tonnellate di rifiuti che dovrebbero essere recuperate o smaltite e che invece finiscono abbandonate in capannoni illegali, per mano di criminali sempre più spregiudicati ed organizzati: è una situazione allarmante, dinanzi alla quale bisogna intervenire prima che si continuino a fare danni all’ambiente, all’economia legale e alla salute delle persone”. Ad intervenire, riferendosi alla recente inchiesta giudiziaria coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Bari che ha portato alla luce un ingente traffico di rifiuti tra Campania e Puglia (leggi qui), è la direttrice di PolieCo, consorzio nazionale dei rifiuti dei beni in polietilene, Claudia Salvestrini, che da anni tiene accesi i riflettori sul fenomeno. – continua sotto –
“E’ gravissimo che nei capannoni sequestrati dal Noe di Bari e dalla Guardia di Finanza di Foggia siano state rinvenute più di 10mila tonnellate di rifiuti con codice Cer 191212, ossia rifiuti che provengono da attività di trattamento meccanico effettuate in impianti di valorizzazione delle plastiche da imballaggi”, osserva Salvestrini che, in più occasioni, ha ribadito la natura endemica di un problema che nasce soprattutto “da una raccolta differenziata basata più sulla quantità che sulla qualità, con il risultato di frazioni residue che sono difficili da recuperare o smaltire e che così prendono le strade più illecite e pericolose”. Salvestrini in questi anni ha tenuto il conto dei roghi dei capannoni, diventati, nella pratica, la nuova modalità di tombamento dei rifiuti. – continua sotto –
“Il problema del codice 191212, che chiamo ‘l’insalata russa dei rifiuti’ è che si perde totalmente la tracciabilità dei flussi”, sostiene la direttrice di PolieCo, sottolineando che “il paradosso è che questi rifiuti che finiscono nei siti abusivi nei fatti sono già inseriti in un flusso economico e spesso hanno come destinazione, evidentemente, impianti di destinazione compiacenti, nei quali arrivano solo sulla carta. Chi ci dice che non vengano poi ‘mescolati’ dagli ecocriminali con rifiuti pericolosi?”. Salvestrini non ha dubbi: “Se non si interverrà per porre fine ad un mercato così drogato si finirà per alimentare il flusso illegale, che poi sia nazionale o transfrontaliero poco conta. Il risultato è che, dopo 30 anni, dai rifiuti tombati dal clan dei Casalesi ad oggi, nulla è cambiato, anzi adesso scopriamo che, in realtà, le vere Terre dei Fuochi non riguardano solo un territorio, qual è la Campania, ma sono sparse in varie parti d’Italia e del mondo”.