Rifiuti dalla provincia di Caserta alla vicina Puglia. È quanto è stato accertato dagli investigatori che hanno condotto l’operazione “All Black” che ha portato dieci persone in carcere e tre agli arresti domiciliari. Gli indagati, a vario titolo, sono 44. Sequestrati due automezzi e beni per oltre 200mila euro. – continua sotto –
Dietro il traffico illecito un “gruppo pugliese” che avrebbe scelto di recuperare rifiuti in Campania da smaltire nel leccese e nel tarantino, non solo per la vicinanza tra le regioni ma anche in virtù dei contatti di uno degli indagati “che – spiegano gli investigatori – poteva vantare numerosi contatti con imprese produttrici di rifiuti, anche pericolosi, che, alla luce delle contingenti difficoltà a utilizzare il mercato di sbocco privilegiato cinese, avevano necessità di reperire siti di smaltimento sul territorio nazionale”. – continua sotto –
Nel corso delle indagini sono stati eseguiti, nella flagranza del reato, sei sequestri di rifiuti in procinto di essere sversati in capannoni e cave delle province di Taranto e Lecce, oltre alla ricostruzione documentale di numerosissimi sversamenti effettuati attraverso la falsificazione dei relativi Fir nonché la clonazione di autorizzazioni amministrative. I rifiuti per lo più plastiche, gomme, ingombranti, guaine catramate e fanghi provenivano in massima parte da un’azienda autorizzata al trattamento di Sparanise (Caserta) che, grazie a questo sistema, riusciva ad abbattere fortemente i costi di gestione.
L’operazione è il risultato di due distinte attività investigative eseguite dai carabinieri del Noe di Torino e Lecce e dai finanzieri del nucleo di polizia economico – finanziaria di Taranto. I primi hanno iniziato a effettuare accertamenti nel maggio 2018 dopo il sequestro di un autotreno che aveva scaricato illecitamente rifiuti nella campagna di Lombardore (Torino). Così è stato scoperto un gruppo di faccendieri di Lecce e Taranto che, ognuno con un proprio ruolo e avvalendosi di società fittizie con false autorizzazioni, offrivano siti inesistenti per lo smaltimento di rifiuti attraverso una società di intermediazione di rifiuti piemontese non iscritta all’albo gestori rifiuti. Iniziavano allora tutta una serie di contatti, monitorati dai militari, tra gli intermediari e alcune aziende attive nel trattamento dei rifiuti nel torinese e nel bresciano per far confluire ingenti quantitativi di rifiuti in alcune località del leccese e del tarantino. Le difficoltà organizzative e i rischi nel far affrontare viaggi così lunghi a rifiuti in una situazione di completa illegalità, hanno di fatto rotto il gruppo che si è scisso: da un lato i pugliesi, dall’altro i broker piemontesi. – continua sotto –
Il gruppo pugliese si è organizzato per creare un’altra direttrice di traffico riuscendo a trovare produttori di rifiuti nell’area più accessibile e vicina delle province di Caserta e di Reggio Calabria. È a questo punto che si inserisce l’attività di indagine dei finanzieri di Taranto che hanno scoperto un ingente traffico illecito di rifiuti sistematicamente portato avanti da un gruppo attivo nel territorio jonico e specializzato nel traffico illecito di rifiuti e di falsi in autorizzazioni amministrative fatti con la predisposizione di finte autorizzazioni ambientali che attestavano in capo a società di comodo, la disponibilità di impianti autorizzati per il trattamento dei rifiuti. – continua sotto –
Le indagini hanno permesso di ricostruire diverse operazioni illecite di movimentazione di ingenti quantità di rifiuti, urbani e industriali, anche di tipo pericoloso, che dalla Campania erano dirette in Puglia. Per gli investigatori le modalità illecite di smaltimento e trasporto dei rifiuti hanno coinvolto “una pluralità di soggetti tra produttori, trasportatori, intermediari, riceventi, deputati allo scarico e alla ricerca dei siti in cui tombare i rifiuti” e ognuno di loro ha fornito il proprio contributo, anche di natura tecnica. Ingente il danno ambientale essendo state illecitamente smaltite più di 600 tonnellate di rifiuti speciali, anche di tipo pericoloso, generando, inoltre, una concorrenza sleale tra le aziende produttrici del medesimo rifiuto. IN ALTO IL VIDEO