Dopo 19 mesi di custodia cautelare è arrivato il rinvio a giudizio per Patrick Zaki: il processo è iniziato martedì 14 settembre con la prima udienza, durata poco più di cinque minuti. Il procedimento è stato poi aggiornato al 28 settembre, data fino alla quale lo studente egiziano dell’università di Bologna rimarrà in carcere: la sua legale, Hoda Nasrallah, non ha saputo precisare se è stato portato al carcere di Torah, al Cairo, o in qualche prigione di Mansura. Zaki rischia una condanna fino a cinque anni di carcere, pena a cui verrebbero sottrati i mesi di custodia, per un totale di 3 anni e 5 mesi. – continua sotto –
“Non abbiamo motivo di immaginare che la pena venga conteggiata diversamente”, ha detto Lobna Darwish dell’Eipr, l’Ong per i diritti personali per cui lo studente egiziano dell’Università di Bologna lavorava. Si desume che, in caso di una sentenza inferiore ai 19 mesi, vi sarebbe un’immediata scarcerazione. Cadute le accuse più gravi di incitamento al “rovesciamento del regime” e al “crimine terroristico” che avrebbero comportato fino a 25 anni, come reso noto da dieci Ong egiziane, l’accusa ora è di “diffusione di notizie false dentro e fuori il Paese” sulla base di un articolo pubblicato due anni fa in difesa della minoranza copta. Il ragazzo rischia una multa o la pena fino a cinque anni di carcere, ha previsto Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, segnalando che non è chiaro al momento quante udienze siano previste. La notizia dell’apertura del processo è “uno sviluppo enormemente preoccupante”, aggiunge Noury. – continua sotto –
Lo studente egiziano dell’università di Bologna ha preso la parola durante l’udienza, affermando di essere stato detenuto oltre il periodo legalmente ammesso per i reati minori di cui è accusato adesso. Barba, occhiali e codino, Zaki era vestito tutto di bianco con camicia, pantaloni larghi e scarpe da tennis, ammanettato nella gabbia degli imputati. Anche la sua legale, Hoda Nasrallah, ha sostenuto la stessa tesi chiedendone il rilascio o almeno l’accesso al dossier che lo riguarda per avere certezza che le accuse di istigazione al terrorismo siano effettivamente decadute, come sembra dalla natura della Corte, ha spiegato una fonte. – continua sotto –
Le sentenze del Tribunale per la sicurezza dello Stato davanti al quale comparirà il 30enne sono inappellabili, hanno precisato le Ong, tra cui quella per cui Patrick lavorava come ricercatore, l’Iniziativa egiziana per i diritti personali (Eipr). La Corte è la numero 2 per i “reati minori” (detta anche “d’urgenza”) di Mansura, la città sul delta del Nilo, circa 130 km a nord del centro del Cairo, dove Patrick è nato e vissuto fino al momento di andare all’università nella capitale e dove ora risiede la famiglia. “Purtroppo era previsto che con l’approssimarsi della fine della detenzione preventiva dei 24 mesi, da quell’enorme castello di prove segrete mai messe a disposizione della difesa sarebbe stata presa una delle tante per mandarlo a processo. È uno scritto del 2019 in cui Patrick avrebbe preso le difese della minoranza copta perseguitata in Egitto”, ha riferito il portavoce di Amnesty Noury. – continua sotto –
LA VICENDA – Patrick era stato arrestato in circostanze controverse il 7 febbraio dell’anno scorso ed è stato detenuto per quasi tutto il tempo a Torah, il carcere alla periferia sud del Cairo. La custodia cautelare in Egitto può durare due anni e dopo una prima fase di cinque mesi di rinnovi quindicinali ritardati dall’emergenza Covid il caso è stato a lungo in quella dei prolungamenti di 45 giorni. Fino ad oggi le accuse a suo carico erano basate su dieci post di un account Facebook che i suoi legali considerano non gestiti da lui. Il suo caso, dopo quello della tortura a morte di Giulio Regeni, è quello che più ha creato attrito fra Italia ed Egitto ed è stato oggetto di una mobilitazione culminata con una richiesta del Parlamento al governo di concedergli la cittadinanza italiana. “L’accusa di aver pubblicato un articolo in cui racconta i fatti della sua vita di cristiano egiziano” non fa altro che “confermare che l’unico motivo per privarlo della sua libertà è il suo legittimo esercizio della libertà di espressione per difendere i suoi diritti e quelli di tutti gli egiziani, in particolare i copti, all’uguaglianza e alla piena cittadinanza”, hanno sottolineato le Ong egiziane.