Seguendo l’onda, cominciata proprio in Laguna lo scorso anno con la vittoria di “Nomadland” della cinese Chloe Zhao e continuata agli Oscar, prima, e a Cannes, poi, ancora una volta il Leone d’Oro di Venezia è, senza dubbio, declinato al femminile. Il trofeo per il miglior film dell’edizione 2021 è, infatti, stato consegnato dalle preziose mani del cineasta coreano Bong Joon Ho, presidente della giuria internazionale, alla transalpina Audrey Diwan per il realistico, drammatico, chirurgico “L’Evenement”, scioccante storia di un aborto clandestino nella puritana Francia degli anni Sessanta tratta dall’omonimo romanzo autobiografico di Anne Ernaux. Ma la notizia degna di nota è che il “girl power” non ne ha voluto sapere di fermarsi all’ambito riconoscimento. – continua sotto –
La veterana Jane Campion ha meritatamente portato nella natìa Australia il Leone d’Argento alla regia per il western complesso e vibrante “The Power of the Dog”, mentre la debuttante, dietro la macchina da presa, Maggie Gyllenhaal, famosa e premiata attrice, ha agguantato l’Osella per la sceneggiatura di “The Lost Daughter”, adattamento di uno dei libri più noti a livello planetario di Elena Ferrante. – continua dopo la foto –
Un’altra eroina contemporanea del grande schermo, la spagnola Penelope Cruz, ha molti motivi per festeggiare. A distanza di oltre un decennio dall’Academy Award a Hollywood e dalla Palma d’Oro a Cannes, alza, nuovamente e con orgoglio latino, un premio importantissimo, la Coppa Volpi per l’interpretazione femminile e lo fa grazie al ruolo di madre imperfetta nella pellicola “Madres Paralelas” diretta dal suo amico e mentore Pedro Almodovar, nei confronti del quale dal palco della Sala Grande non ha, di certo, lesinato parole di ammirazione e riconoscenza infinite. E non bisogna dimenticare che ha, anche, infranto una sorta di tabù, diventando la prima iberica a esser capace di fregiarsi di tale ambito titolo. – continua sotto –
Ora passiamo ai nostri colori, che escono, certamente, galvanizzati dal verdetto, con qualche piccola delusione, però. Grandi lodi le merita, senz’altro, il più internazionale dei nostri registi, ovvero Paolo Sorrentino, che con l’autobiografico “E’ stata la mano di Dio”, di produzione Netflix, è riuscito in un sol colpo a raccontare di sé, della singolare famiglia, dei miti indelebili di un semplice ragazzo partenopeo degli anni Ottanta, Maradona in primis, delle passioni con un tono soavemente leggero e tragico al contempo, come solo i grandi sanno fare, riuscendo, peraltro, ad emozionarsi sinceramente quando ha stretto con fermezza e orgoglio il Gran Premio della Giuria, sentendosi ben piantato al centro di un vortice catartico di rara umanità. All’arduo, profondo, penetrante “Il buco” di Michelangelo Frammartino, storia vera di un viaggio all’interno delle viscere della terra da parte di un gruppo di coraggiosi speleologi è andato il Premio Speciale della Giuria, mentre il giovanissimo Filippo Scotti, che ha interpretato con adesione totale un Sorrentino adolescente e confuso, ha accolto con gioia il premio Mastroianni per il miglior esordiente. – continua sotto –
Parlavamo di piccola delusione, e, ne siamo quasi certi, che a provarla è stato il valente Toni Servillo, mattatore alla Mostra in ben tre pellicole, di cui due in competizione ufficiale, e, ancora una volta, tornato a casa a mani vuote prive di quella Coppa Volpi all’interpretazione maschile, data per assodata dai più, finita, invece, in direzione Filippine al semisconosciuto John Arcilla, giornalista sporco e corrotto nell’opera denuncia “On the Job: the Missing 8” di Erik Matti. Non resta altro che dire al talentuoso casertano “provaci ancora Toni”.