Per la vicenda delle violenze ai danni dei detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere avvenute il 6 aprile 2020, la Procura locale ha chiesto il rinvio a giudizio per 108 tra agenti e funzionari dell’amministrazione penitenziaria. I reati contestati a vario titolo sono quelli di tortura, lesioni, abuso di autorità, falso in atto pubblico e cooperazione nell’omicidio colposo di un detenuto algerino, del cui decesso sono accusati 12 indagati. Per altri 12, invece, i pm hanno chiesto l’archiviazione ma è probabile che a questi venga comunque notificato un decreto penale di condanna a pena pecuniaria per non aver, in qualità di pubblici ufficiali, denunciato quello che stava accadendo in carcere. L’udienza preliminare è stata fissata dal gip Pasquale D’Angelo per mercoledì 15 dicembre, alle 9.30, nell’aula bunker dello stesso carcere. – continua sotto –
Tra coloro che rischiano il processo figurano Pasquale Colucci, comandante del Nucleo Operativo Traduzioni e Piantonamenti del centro penitenziario di Secondigliano e comandante del gruppo di ‘Supporto agli interventi’, tuttora agli arresti domiciliari, l’ex capo delle carceri campane Antonio Fullone, interdetto dal servizio, Tiziana Perillo, comandante del Nucleo Operativo Traduzioni e Piantonamenti di Avellino, Nunzia Di Donato, comandante del nucleo operativo ‘Traduzioni e piantonamenti’ di Santa Maria Capua Vetere; Anna Rita Costanzo, commissario capo responsabile del reparto Nilo (ai domiciliari), l’ex comandante della polizia penitenziaria del carcere di Santa Maria Capua Vetere Gaetano Manganelli (ai domiciliari).
L’indagine si avvale delle immagini delle telecamere di videosorveglianza interne che hanno ripreso quella che venne definita “un’orribile mattanza” dal gip Sergio Enea. Le telecamere ripresero i detenuti mentre venivano costretti a passare in un corridoio formato da agenti penitenziari con manganelli e caschi, subendo calci, pugni e manganellate; anche un detenuto sulla sedia a rotelle fu colpito mentre altri furono letteralmente trascinati per le scale e presi a calci. Condotte che per la Procura e il gip hanno integrato il reato, introdotto nel 2017, di tortura, mai contestato a così tanti pubblici funzionari. Tra i quasi trecento detenuti vittime dei pestaggi c’era anche l’algerino Lakimi Hamine, deceduto il 4 maggio 2020 dopo essere stato tenuto in isolamento dal giorno delle violenze; per la morte di Hamine sono indagati in dodici, tra cui l’allora comandante della Polizia Penitenziaria del carcere di Santa Maria Capua Vetere Gaetano Manganelli, l’ex provveditore Antonio Fullone, due medici e quegli agenti che erano nel reparto di isolamento.
Dopo il 6 aprile – ha accertato la Procura – iniziò inoltre l’attività di depistaggio da parte di agenti e funzionari con certificati medici falsificati per dimostrare che gli agenti avevano subito violenze dai detenuti; gli indagati provarono invano anche a manomettere le telecamere. Nel frattempo comunque, specie dopo l’avviso di conclusione indagini, qualche agente ha iniziato a collaborare permettendo alla Procura di “arricchire” l’altro filone d’indagine che mira ad indentificare quei quasi cento agenti rimasti finora senza un’identità, visto che dei 300 poliziotti intervenuti il 6 aprile 2020, oltre un terzo indossava caschi e mascherine e non è quindi mai stato individuato.