Aversa (Caserta) – Don Carmine Schiavone, direttore della Caritas della diocesi di Aversa, da qualche giorno è il nuovo direttore della Caritas Campania che raccoglie tutte le 25 delegazioni diocesane. Un riconoscimento meritato per una persona che da esattamente dieci anni dedica ogni momento della propria resistenza agli altri. Nato 46 anni fa a Casal di Principe, ha svolto il suo ministero nelle parrocchie di San Cipriano e Cardito. Ordinato sacerdote 7 ottobre 2002, per 12 anni ha insegnato al liceo artistico di Aversa, impegno che ha lasciato quando ha capito che la Caritas aveva bisogno di un impegno totale. – continua sotto –
Don Carmine, la scelta di farla direttore della Caritas regionale della Campania è certamente un segnale, un riconoscimento di quanto ha fatto e sta facendo ad Aversa? «Sono in delegazione regionale da 8 anni, quando mi chiesero di seguire i settori del servizio civile e dell’immigrazione a livello di Regione Campania. In questi anni credo, così come ho fatto con Aversa, di aver cercato di impostare il lavoro attraverso il dialogo continuo con i 25 colleghi responsabili delle Caritas diocesane della Campania. Uno stile di lavoro condiviso, una spinta sinergica a tutto il territorio regionale che ha tante fragilità, anche se di intensità diverse, ma comunque urgenti».
Come si organizzerà con l’arrivo di questi nuovi impegni che si sommano a quelli che già ha nella Caritas diocesana? «In diocesi già avevamo messo su da diversi anni una buona equipe che si è compattata in occasione del lockdown riuscendo a camminare da sola anche quando io non ci sono. Grazie a questa situazione io sono stato in grado di concentrarmi anche su altro e questo mi ha permesso la libertà di esportare le azioni vissute ad Aversa, una diocesi non semplice, anche a livello di Regione Campania. Ci siamo arrivati con un lento processo, ma garantendoci una buona cabina di regia. Nella pratica, la sede della delegazione regionale è a Pompei, nello stesso salone dove si riunisce anche la conferenza episcopale campana. I nostri incontri sono mensili e durante questo evento ci confrontiamo su quanto avviene e quanto dovrà avvenire».
La guerra russo-ucraina è venuta in coda alla pandemia. Un nuovo e diverso tipo di urgenza, come vi state organizzando? «Come Caritas ci siamo dati questo impegno, mi sembrava giusto davanti ai venti di guerra. Abbiamo intesa non isolarla, ma integrarla alle altre emergenze, senza far mancare il nostro apporto. Abbiamo anche il caro bolletta, la distribuzione ai meno abbienti del pacco settimanale, la disabilità, i senza fissa dimora. Integrazione è la parola d’ordine. Il nostro appello è ad aprire le porte alle famiglie che vengono a bussare, non tanto vestiario e alimenti, ovviamente con il monitoraggio della prefettura e della Regione Campania per la sanità. C’è un accordo con prefettura ed Asl: il nucleo familiare ucraino (quasi sempre donne e bambini) viene a chiedere aiuto alla Caritas, che chiede se c’è stata la registrazione al commissariato più vicino, poi interviene l’asl con il tampone e, infine, attraverso la Caritas viene collocata in una famiglia che sarà, comunque, registrata anch’essa al commissariato. La Caritas monitora il soggiorno in famiglia. La disponibilità in Campania è stata molto ampia in tutta la Campania, soprattutto dopo l’attacco di queste ore all’ospedale pediatrico». – continua sotto –
I profughi ucraini corrono il rischio di far dimenticare i rifugiati storici africani e asiatici? «In realtà non la vediamo in questo modo, Le nostre Caritas sono tutte abitate da rifugiati che vengono da altre nazioni, A livello regionale puntiamo sul contrasto al caporalato e al lavoro nero e al Progetto “Apri”, voluto da Papa Francesco, con nuclei familiari di profughi ospitati in famiglie locali, a Gricignano, Casal di Principe, San Cipriano e Casapesenna».
La povertà parla solo straniero? «Assolutamente no. I numeri del giovedì mattina (giorno di distribuzione) parlano chiaro, A prendere i pacchi sono soprattutto gli italiani. Abbiamo anche la povertà educativa e per arginarla abbiamo attivato in tutta la regione Campania il doposcuola diffuso perché le famiglie non possono permettersi la retta».
Una domanda personale: perché ha scelto di fare quello che fa? «Una domanda molto bella. Il prete non è un operatore sociale come a volte rischia di apparire, Il prete non ha studiato per avere funzioni pubbliche. Noi crediamo, però, che Dio passi attraverso ogni essere umano, oltre il tabernacolo fisso, come ha detto Papa Francesco, si deve guardare a quello mobile, ossia alle situazioni della vita nelle quali il prete è chiamato a leggere il passaggio di Dio, Quelle azioni non devono avvilirci, ma rafforzarci e questo è il nostro segreto».