Farfetch, il big dell’e-commerce del lusso incastrato da Guardia di Finanza: accordo col Fisco per 12 milioni

di Redazione

Sotto la direzione della Procura della Repubblica di Bologna, si sono concluse con l’adesione all’accertamento da parte del contribuente le indagini, condotte dai militari del Nucleo di polizia economico-finanziaria del Comando Provinciale di Bologna, che hanno fatto emergere l’esistenza e l’operatività in Italia della stabile organizzazione occulta di una società britannica appartenente a un noto gruppo multinazionale operante nel settore dell’e-commerce del lusso, Farfetch. – continua sotto – 

Le investigazioni hanno preso le mosse dallo sviluppo di una complessa e articolata analisi di rischio condotta, in stretta sinergia con la Direzione Regionale Emilia Romagna dell’Agenzia delle Entrate, sui principali modelli di business dell’e-commerce. È stato apprezzato, secondo la prospettazione investigativa, il radicamento “di fatto” della società in Italia sin dal 2011.

Il Gruppo multinazionale, operante in tutto il mondo quale marketplace virtuale e provider di servizi per negozi fisici attivi nel settore della vendita di abbigliamento e accessori di lusso (boutique), è stato uno dei primi a muoversi nel settore del commercio on line dell’abbigliamento firmato di alta moda (luxury fashion), rivoluzionando il mondo del retail attraverso la vincente strategia dell’integrazione tra canali, tanto da raggiungere clienti in oltre 190 paesi nel mondo.

La visione imprenditoriale del fondatore del brand e l’efficiente architettura organizzativa – dispiegata sul territorio italiano attraverso agenti qualificati e operativi in modalità home office – hanno determinato la repentina espansione nel mercato domestico del marketplace che, oggi, conta solo in Italia un portafoglio di oltre 200 partner affiliati di altissimo profilo, tutti dislocati nelle più rinomate vie dello shopping e strutturati in maniera tale da comporre una sorta di rete virtuale di magazzini, da identificarsi nelle singole boutique. – continua sotto – 

In particolare, la società estera, senza mai formalizzare la propria presenza in Italia, assumere formalmente personale dipendente e avviare uffici e/o negozi, ha operato, in maniera assolutamente occulta, sfruttando le boutique affiliate che, assumendosi ogni rischio, hanno messo a disposizione spazi fisici per lo stoccaggio di merce da vendere “indirettamente” sulla piattaforma. Gli approfondimenti sono stati condotti con l’ausilio delle banche dati in uso al Corpo e di innovativi software di backup forense e di ricerca e analisi investigativa dei contenuti dei supporti informatici rinvenuti a seguito di perquisizioni domiciliari e locali eseguite con il supporto di personale tecnico qualificato Computer Forensics Data Analysis.

In particolare, sono stati passati al setaccio oltre 400 Gigabyte di dati, tra cui 21 mila mail, 20 mila conversazioni via chat, 800 mila immagini, 22 mila file di testo e metadati attraverso i quali è stato possibile, tra l’altro, procedere alla georeferenziazione dei soggetti e ricostruire le relazioni tra gli stessi. A titolo esemplificativo, documentando data e luogo di accesso ai vari account (social, account mail) in uso ai dipendenti, nonché alle reti wi-fi, sono stati ricostruiti, con precisione, gli spostamenti e individuati con esattezza i luoghi di lavoro abituale.

Le indagini si sono inoltre avvalse degli ormai consolidati canali di cooperazione internazionale. Grazie agli strumenti investigativi messi in campo, è stato possibile accertare che un team composto da agenti italiani (dipendenti della società inglese) aveva svolto attività determinanti (core activities) per la gestione delle relazioni economico-commerciali, la negoziazione, la trattativa e la stipula di contratti con centinaia di boutique nazionali. A fronte dei servizi di gestione delle vendite on line dei prodotti presenti nei negozi fisici, il marketplace (assimilabile a una vera e propria vetrina virtuale) ha incassato ingenti provvigioni dai partner italiani calcolate, in media, sul 30% del venduto. La società, nel riconoscere l’impianto complessivo delle contestazioni e, comunque, in un clima di massima collaborazione, ha già versato all’Erario, in un’unica soluzione, circa 12 milioni di euro per definire ogni pendenza con il Fisco relativamente agli anni dal 2015 al 2019. Contestualmente, si è impegnata – attraverso la costituzione di una nuova società di diritto italiano – a versare le imposte, anche future, dovute sulle provvigioni maturate sul territorio a far data dal 1 gennaio 2020. – continua sotto – 

È il primo caso, in Italia, di accertata esistenza di una stabile organizzazione occulta di una società estera operante nel settore dell’e-commerce la cui fixed place of business è stata ravvisata nell’abitazione dei dipendenti (home office). Si tratta, senza dubbio, di un’importante evoluzione della disciplina della stabile, che si inserisce in un più ampio processo di cambiamento strutturale, normativo e giurisprudenziale, tuttora in itinere.

Le conclusioni a cui sono approdati, in sintonia, Guardia di Finanza, Amministrazione finanziaria, Magistratura e contribuente hanno portato a considerare l’abitazione di un soggetto, a certe condizioni, “a disposizione” dell’impresa estera. Conseguentemente, l’ufficio “casalingo” (home office), oggi, può essere legittimamente ritenuto stabile organizzazione materiale del soggetto estero nel territorio dello Stato su cui si svolge l’effettiva attività imprenditoriale, con ciò producendo reddito imponibile nel nostro Paese.

La tematica assume una rilevanza ancor maggiore ove si consideri il progressivo affermarsi dell’ormai ben nota internet economy e delle cosiddette “imprese multinazionali digitali”, le cui componenti immateriali consentono di spostare più facilmente (oltreché velocemente) rischi, funzioni, asset e, conseguentemente, profitti. IN ALTO IL VIDEO

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