I tentacoli della ‘Ndrangheta sulle attività economiche di Roma: 26 arresti

di Redazione

Su disposizione della Direzione distrettuale antimafia di Roma, la Direzione investigativa antimafia – con il supporto di personale delle Questure e dei comandi provinciali d Carabinieri e Guardia di Finanza della Capitale, di Cosenza e Agrigento – oggi ha dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 26 persone (24 in carcere e 2 agli arresti domiciliari) gravemente indiziate, a vario titolo, di associazione mafiosa, sequestro di persona, fittizia intestazione di beni e altro. – continua sotto –

L’attività di indagine, condotta dalla Dia capitolina, compendia le recenti evidenze connesse alle investigazioni che avevano determinato l’esecuzione, il 10 maggio scorso, di 43 misure cautelari essendo stati raccolti elementi gravemente indiziari sull’esistenza di un’articolazione della ‘Ndrangheta a Roma, denominata “locale” di Roma, “distaccamento” o “propaggine” dal “locale” di Cosoleto (Reggio Calabria), ma composta anche da soggetti appartenenti a famiglie di ‘ndrangheta originarie di Sinopoli (Reggio Calabria) e di altri comuni calabresi oltre che da alcuni soggetti romani.

Il sodalizio si avvaleva della forza di intimidazione che scaturisce dal vincolo associativo e delle conseguenti condizioni di assoggettamento e di omertà che si creavano sul territorio, avendo come scopo quello: di acquisire la gestione e/o il controllo di attività economiche nei più svariati settori (ittico, panificazione, pasticceria, ritiro delle pelli e degli olii esausti), facendo poi sistematicamente ricorso ad intestazioni fittizie al fine di schermare la reale titolarità delle attività; di commettere delitti contro il patrimonio, contro la vita e l’incolumità individuale e in materia di armi; di affermare il controllo egemonico delle attività economiche sul territorio (in particolare nel settore della ristorazione, dei bar e della panificazione), realizzato anche attraverso accordi con organizzazioni criminose omologhe; e, comunque, infine, di procurarsi ingiuste utilità.

Gravemente indiziati di essere i capi di tale struttura criminale erano risultati Antonio Carzo e Vincenzo Alvaro, entrambi appartenenti a storiche famiglie di ‘ndrangheta originarie di Cosoleto (Reggio Calabria). Nella precedente ordinanza – essendo medio tempore stata confermata dal Tribunale del Riesame la configurabilità del reato di associazione di tipo mafioso – si era rilevata la vocazione imprenditoriale della struttura criminale mediante il sistematico ricorso all’intestazione fittizia di valori, realizzando il controllo di aziende, ditte individuali e società nei diversi settori, tra gli altri, della panificazione, della gastronomia, della ristorazione, dell’intrattenimento e del gioco scommesse autorizzato (tabaccherie, sale giochi, centri autorizzati di ricariche carte e di vendita di tagliandi e giochi controllati dall’Agenzia dei monopoli di Stato), di vendita e noleggio di auto. – continua sotto –

L’attuale provvedimento cautelare, a conclusione dell’ulteriore approfondimento investigativo realizzato dall’ottobre 2021, compendia e completa nel dettaglio quanto già emerso in occasione dei sequestri, operati in parallelo al precedente provvedimento, delle 25 società per un valore totale di circa 100 milioni di euro.

Gli investigatori hanno ricostruito, in termini di gravità indiziaria, la applicazione sistematica di uno schema collaudato, di un modello finanziario “ciclico”, tipizzato nel seguente schema: abbandono della società ritenuta compromessa; utilizzo di una società nuova; acquisizione della ditta e dei contratti di locazione con la distrazione di beni, stigliature, insegne e avviamento dell’azienda appartenente alla società da abbandonare; individuazione dei nuovi intestatari fittizi attraverso i quali continuare a possedere le attività commerciali e mantenere il controllo delle stesse.

I vertici e i componenti della “locale” di Roma, acquisivano gli esercizi aziendali di frequente anche gli immobili, versando, all’atto dell’acquisto, un anticipo spesso insignificante diluendolo, poi, in centinaia di rate, garantite da cambiali che, secondo le intercettazioni, erano in realtà pagate in contanti; oppure ricorrevano ad operazioni di ricarica di carte postepay, fittiziamente intestate a terzi, effettuate presso i terminali delle tabaccherie sotto il loro controllo, utilizzando lo scoperto garantito da Sisal che successivamente veniva reintegrato con versamenti contanti. IN ALTO IL VIDEO

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