Sinisa Mihajlovic non ce l’ha fatta. Ha combattuto per tre anni e mezzo non rinunciando a continuare a vivere come se niente fosse (a parte i momenti più difficili o quelli in cui era costretto a fermarsi per cure particolarmente invasive), come se la malattia che lui stesso ha annunciato in una conferenza stampa di inizio luglio 2019, fosse soltanto un fastidio passeggero che mai avrebbe potuto intralciare il suo lavoro, i suoi interessi, la sua esistenza.
Un esempio concreto per tutti. Mihajlovic era nato il 20 febbraio del 1969. Le esperienze al Borovo e al Vojvodina hanno spinto la Stella Rossa a portarlo a Belgrado dove si è reso protagonista di un ciclo straordinario della squadra serba. Da esterno sinistro offensivo ha conquistato due campionati jugoslavi (dopo quello vinto al Vojvodina), una Coppa dei Campioni e una Coppa Intercontinentale.
La Roma decide di portarlo in Serie A. In giallorosso resta due stagioni prima di trasferirsi alla Sampdoria dove Eriksson lo trasforma in difensore centrale, ruolo che lo farà esplodere definitivamente nel ciclo laziale in sei anni pieni di trofei: uno scudetto, due Coppe Italia, altrettante Supercoppe nazionali, una europea e una Coppa delle Coppe. Mancini lo vuole all’Inter dove chiude la carriera da giocatore vincendo un altro scudetto, due Coppe Italia e una Supercoppa italiana. Una carriera straordinaria condita da più di 100 gol, compresi quelli nella nazionale jugoslava (poi Serbia-Montenegro), grazie a un sinistro devastante diventato leggenda grazie ai calci piazzati, tra cui spicca la tripletta su punizione alla Samp nel ’98.
Nel 2006 si ritira e diventa il secondo di Roberto Mancini all’Inter dando inizio alla carriera di allenatore. Da primo tecnico parte dal Bologna nel 2008, prima di guidare Catania e Fiorentina, nazionale serba, Sampdoria, Milan, Torino, 9 giorni tormentati allo Sporting Lisbona e il ritorno a Bologna, dove sostituisce Pippo Inzaghi e dove, all’inizio della stagione 2019/20, annuncia in conferenza stampa la sua malattia.
L’ex calciatore e allenatore si è spento a 53 anni colpito dalla leucemia mieloide acuta. Malattia diagnosticata il 13 luglio 2019, sconfitta e poi ritornata a marzo 2022. Tre anni di cure, un trapianto al midollo e il ritorno sulla panchina del Bologna prima dell’esonero a settembre dopo un difficile inizio di campionato.
“La moglie Arianna, con i figli Viktorija, Virginia, Miroslav, Dusan e Nikolas, la nipotina Violante, la mamma Vikyorija e il fratello Drazen, nel dolore comunicano la morte ingiusta e prematura del marito, padre, figlio e fratello esemplare, Sinisa Mihajlovic – si legge nel comunicato diramato dalla famiglia – Uomo unico professionista straordinario, disponibile e buono con tutti. Coraggiosamente ha lottato contro una orribile malattia. Ringraziamo i medici e le infermiere che lo hanno seguito in questi anni, con amore e rispetto, in particolare la dottoressa Francesca Bonifazi, il dottor Antonio Curti, il Prof. Alessandro Rambaldi, e il Dott. Luca Marchetti. Sinisa resterà sempre con noi. Vivo con tutto l’amore che ci ha regalato”.