Sette anni di carcere richiesti dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli nei confronti del poliziotto Oscar Vesevo, sotto processo al tribunale di Napoli Nord in Aversa con l’accusa di essersi impossessato della pen drive del capoclan dei Casalesi Michele Zagaria durante le operazioni di cattura del latitante, avvenute il 7 dicembre 2011 a Casapesenna (Caserta). – continua sotto –
Vesevo, che all’epoca dei fatti era in forza alla Squadra mobile di Napoli, risponde di peculato e corruzione con l’aggravante mafiosa in relazione alla pen drive, mai ritrovata, e di truffa e accesso abusivo a sistema informatico. Ad accusare Vesevo è stata in particolare Maria Rosaria Massa, nella cui casa di Casapesenna (demolita un mese fa alla presenza del ministro dell’Interno Piantedosi) Zagaria trovò rifugio e fu catturato. Massa, condannata per favoreggiamento così come il marito Vincenzo Inquieto, ha raccontato durante il processo che Vesevo aveva preso la pen drive, ma anche specificato che il supporto era della figlia e conteneva musica e documenti personali della ragazza, non i segreti del capoclan come ritenuto dalla Dda.
Nel corso della requisitoria, il sostituto anticamorra Maurizio Giordano ha ribadito l’accusa nei confronti di Vesevo, anche quella di aver venduto la pen drive per 50mila euro, ritenuto dunque il prezzo della corruzione, all’imprenditore Orlando Fontana, che però in relazione a tale episodio è stato assolto in un altro processo. Nella prossima udienza prevista per il 16 maggio, discuterà il difensore di Vesevo, l’avvocato Giovanni Cantelli.
“Non ho preso alcuna pen drive dal covo di Michele Zagaria, durante le operazioni di cattura sono stato tutto il tempo nel corridoio a scavare per trovare il bunker. E senza di me il boss non sarebbe stato catturato”, ha detto il poliziotto in sua difesa nel corso delle udienze, raccontando: “Eravamo in quattro nel corridoio della casa di Rosaria Massa e Vincenzo Inquieto (i due coniugi arrestati e condannati per favoreggiamento, ndr.), io sapevo dove era il bunker, e così scavavamo. C’era poi un poliziotto della Mobile alla fine del corridoio che controllava che non entrasse altra gente, visto che davanti casa c’erano tantissime persone”.