di Nicola De Chiara (da “Nero su Bianco”) – Alla scomparsa del presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano sono seguite lodi e critiche tra le più disparate e contrastanti, se non di opposto tenore. In tale contesto, abbiamo chiesto un giudizio al senatore Pasquale Giuliano, che l’ha conosciuto ed ha vissuto parte della sua esperienza parlamentare e di governo proprio durante il primo settennato al Quirinale. – continua sotto –
Senatore, qual è il suo giudizio sul politico e sull’inquilino del Quirinale per ben nove anni? «Parce sepultis, ammoniva Virgilio nell’Eneide. Ma Giorgio Napolitano è stato una importante figura pubblica e non si può essere così ipocriti da “risparmiarlo” soltanto perché è passato a miglior vita. Molti giornali, esponenti delle istituzioni e della politica, soprattutto del Pd, gementi e piangenti con lacrime che hanno inondato il Paese, hanno tentato di consegnare il santino di Giorgio Napolitano alla Storia».
Quindi non condivide questa sua “santificazione”? «Con strumentale capziosità, si è distrattamente sorvolato su posizioni e fasi importanti della vita del politico, del dirigente del Partito Comunista Italiano, dell’uomo di governo e del massimo rappresentante istituzionale per ben nove anni».
Ad esempio? «A cominciare da quando il giovane Napolitano, a Napoli, militava, convintamente e fino alla liberazione, nel G.u.f. (Gruppo universitari fascisti); o da quando, sull’Unità, organo del Pci, si profuse senza alcuna remora nell’elogio ufficiale alle truppe sovietiche che avevano invaso Budapest per soffocare nel sangue i moti di indipendenza e di libertà. Gli agiografi, in effetti, si sono sforzati di non inquinare il processo di “beatificazione” del comunista travestito da liberal, in omaggio alla storica doppiezza morale e politica dei comunisti italiani. E così si è trascurato che Napolitano, negli anni ‘50, a nome del suo partito, s’oppose a tutte le tappe dell’integrazione europea, esprimendo la sua forte contrarietà con motivazioni che possono storicamente definirsi miopi, ideologiche e suicide. Fu lui a contrastare la ratifica dei Trattati di Roma che istituivano la Comunità economica europea e l’Euroatom, i primi importanti passi per la formazione dell’Europa. Così come, ancora, avversò l’ingresso dell’Italia nello S.m.e., il Sistema monetario europeo, il cosiddetto “serpente monetario”. Tutto questo alla faccia del magnificato e sbandierato suo, più che tardivo, europeismo». – continua sotto dopo la foto –
E poi? «Non è stato ricordato il servile applauso di Napolitano al partito comunista sovietico che espulse ed esiliò il Nobel Aleksandr Solzenicyn, l’autore di “Arcipelago Gulag”, il libro che descrisse l’abominio dei campi di “rieducazione” e sterminio dei dissidenti, istituiti da Stalin, mantenuti dai suoi successori e la cui esistenza venne per troppo tempo negata da Napolitano e dal suo partito. Un velo è stato calato anche sul Napolitano sostenitore del patto di Varsavia, imposto dall’Urss per accorpare i Paesi dell’Est sotto la sua terrificante e sanguinaria influenza, e la corrispondente avversione del lodato (dai suoi) “migliorista” all’adesione del nostro Paese al blocco occidentale, e quindi alla Nato. Si è taciuto, poi, il fatto che Napolitano, autorevole e ascoltato membro del Comitato centrale del Pci, fu tra coloro che vollero l’espulsione dal Pci dei dissidenti del “Manifesto”, ritenuti, tra l’altro, molto critici sulle sanguinose repressioni da parte dei sovietici in Cecoslovacchia. E, ancora, si sono ignorati i suoi più che amichevoli rapporti con il dittatore iugoslavo Tito, il crudele infoibatore e persecutore degli italiani del nord est».
Però queste sono posizioni del passato. «Certo. Allora, se si preferisce riferirsi ad anni più recenti, sarebbe lungo e snervante ricordare quelli che, a giudizio di autorevoli costituzionalisti e politologi, sono stati definiti, durante il suo mai rimpianto e lunghissimo novennato, contrassegnato da riti ossessivi contro Berlusconi e berlusconiani, dei veri e propri suoi deragliamenti dai confini fissati dalla Costituzione. Manca lo spazio per riassumerli. Basti solo riportare che, secondo accreditati giuristi, saggisti e politici, sarebbe stato “il peggior presidente della storia della Repubblica”. Da ultimo, c’è da chiedersi perché non sia stata stimolata una pacata riflessione critica sull’intera vicenda di quello che è stato definito un vero “colpo di Stato”, allorché, alla fine del 2011, Napolitano manovrò e si affannò per costringere Berlusconi alle dimissioni, tra l’altro promettendo a Gianfranco Fini, per incoraggiarlo ad esacerbare la sua campagna di opposizione contro il cavaliere, di indicarlo quale presidente del Consiglio, salvo poi nominare senatore a vita il triste e deludente Monti e sceglierlo quale capo del governo». – continua sotto –
Qualche “incrocio” diretto tra lei e Napolitano? «Uno diretto e uno indiretto, per così dire. In aula, alla Camera dei deputati, lui presente quale Ministro dell’interno nel primo governo Prodi, durante un mio intervento su un’interrogazione che gli avevo rivolto sull’emergenza criminalità nell’agro aversano, lo definii – per l’inerzia che stava mostrando, lui che era stato più volte nominato “ministro-ombra” dal fu Pci – “l’ombra di un ministro”. Se ne dovette ricordare, perché quando anni dopo lo incontrai, nelle vesti di Presidente della Repubblica, al ricevimento all’Ambasciata francese in onore di Luiz Lula, il Presidente del Brasile, quando mi avvicinai per salutarlo, mi contestò, dimostrando una memoria di ferro, quella definizione che gli avevo rivolto. Quello indiretto lo ebbi tramite Loris D’Ambrosio, mio collega magistrato e suo ascoltato consigliere giuridico, quando mi telefonò, per indurmi a ritirare, per evitare, mi disse, “conflitti laceranti”, la mia iniziativa legislativa per istituire a Caserta una sezione autonoma della Corte di appello, che avrebbe anche comportato una sezione automa della Direzione distrettuale antimafia, costruzione avversata dalla Procura di Napoli e, segnatamente, dalla corrente di Magistratura democratica, che mi risultava essersi recata in pellegrinaggio al Quirinale. Mi fu chiaro, anche se non esplicitato, che Loris, persona di altissimo spessore umano e giuridico, non avesse assunto quella iniziativa da solo e autonomamente. Nell’aula del Senato, anche per evitare scontri dall’esito incerto, per “senso istituzionale e per rispetto di un’altissima sollecitazione ricevuta”, così come esplicitamente dichiarai e come risulta dal resoconto stenografico, trasformai il mio disegno in un ordine del giorno, che fu poi approvato a larga maggioranza.
Ma, per la verità, è stato detto che Napolitano qualche errore l’aveva ammesso. «Certo, ma allora sarebbe interessante analizzare quanto sia stato dovuto a sincero pentimento, quanto ad un utile compromesso, quanto ad un’opportunistica strategia o tattica politica».
In conclusione? «Ai posteri la non troppo ardua sentenza. E’ certo, però, che sin da ora, per consentire un giudizio pacato e non mosso solo da cristiana pietas o da settoriali e intuibili esigenze politiche e/o partitiche, andrebbero, quanto meno, elencate ed analizzate tutte quelle sue posizioni verso le quali si è invece voluto, da parte di agiografi annegati nello loro stesse lacrime, calare uno strumentale e ingannevole velo, rifacendosi, soprattutto, alla immagine di moderazione di cui “re Giorgio” si era tardivamente vestito e al tratto colloquiale dell’uomo, che, da verace e convinto comunista, aveva scoperto e scelto, tra l’altro, l’utilità, non solo politica, di apparire contrario allo scontro frontale e, troppo tardi, contrario al soffocante vassallaggio sovietico. Di certo, però, già da ora, credo che si possa serenamente convenire sul fatto che non è stato un presidente della Repubblica amato dagli italiani».