Turchia, la città di Adana invasa da rifiuti europei: intervista a Sedat Gündogdu dell’Università di Cukurova

di Antonio Taglialatela

Le immense e fertili terre di Adana, nella pianura di Cukurova, nel sud della Turchia, sono in preda ad uno scempio ambientale. Da anni il territorio è infestato da discariche illegali a cielo aperto, nelle campagne, tra le case, con bambini che lavorano nella raccolta dei rifiuti, incendi dolosi che creano nubi di diossina, e con terra acqua e aria sempre più inquinate. – continua sotto –   

Ma da dove arrivano quei rifiuti? Dall’Europa. Si tratta principalmente di plastica che, attraverso il sistema delle “triangolazioni”, viaggia su un numero sempre più elevato di container che dai porti italiani raggiungono altri Paesi dell’Unione Europea, come ad esempio la Grecia o altri dell’Est Europa, con una legislazione ambientale meno rigida, per poi essere destinati a Turchia e Paesi del Nordafrica, come Egitto e Tunisia.

Un tempo il principale Paese di destinazione dei rifiuti espostati da Europa, Regno Unito e Nord America era la Cina che, però, nel 2018 ha applicato la politica della “National Sword”, vietando l’importazione della maggior parte dei rifiuti di plastica. Di conseguenza, il commercio della plastica si è spostato verso nuove destinazioni, nel Sud-Est asiatico, Africa e Turchia.

Il fenomeno è stato affrontato a Napoli nel corso del Forum Internazionale sull’Economia dei Rifiuti del PolieCo, consorzio nazionale per il riciclaggio di beni in polietilene, dal titolo “Malati d’Ambiente”. A relazionare è stato il professor Sedat Gündogdu, biologo marino e docente dell’Università di Cukurova, che Pupia.Tv ha intervistato. – continua sotto –  

“Con una produzione annua di 32 milioni di tonnellate di rifiuti urbani – ha spiegato il docente turco – la Turchia si colloca tra i primi quattro paesi europei produttori di tali rifiuti. Di questi, circa 4,42 milioni di tonnellate sono rifiuti di plastica. Il tasso di raccolta stimato dei rifiuti di plastica in Turchia è compreso tra il 10 e il 20%. Anche con l’ipotesi più ottimistica di un tasso di raccolta del 20%, la quantità di rifiuti di plastica prodotti è quasi uguale alla quantità di rifiuti di plastica importati dalla Turchia nel 2021”.

Se si tiene conto della redditività della plastica che arriva da altri Paesi, è chiaro le aziende di riciclaggio turche preferiscono importare i rifiuti piuttosto che acquistarli dal mercato locale. Ciò crea problemi per molti comuni che non riescono a trovare un’azienda adatta per trasferire la plastica raccolta al riciclaggio, ostacolando lo sviluppo di infrastrutture essenziali. Di conseguenza, l’esportazione di rifiuti di plastica in Turchia dall’Ue non fa altro che aggravare il grave problema ambientale del Paese.

“La Turchia – sottolinea Gündogdu – è una delle principali fonti di inquinamento da plastica nel Mediterraneo e nel Mar Nero. Questo inquinamento deriva da una gestione insufficiente dei rifiuti, dallo scarico illegale di rifiuti di plastica e dallo scarico delle acque effluenti degli impianti di trattamento delle acque reflue. L’inadeguata infrastruttura di gestione dei rifiuti della Turchia fa sì che i fiumi turchi siano la principale fonte di inquinamento da plastica nel Mar Mediterraneo”. Il docente dà qualche dato: “La Turchia ha la percentuale maggiore (16,8%) di macrorifiuti galleggianti nell’ambiente marino sia nel Mediterraneo che nel Mar Nero. Il Mare della Cilicia (situato sulla costa nord-orientale della Turchia) è identificato come un’area in cui le concentrazioni di plastica (>20 g km−2) sono più elevate. Si stima che i fiumi turchi, tra cui Ceyhan (5,1%), Seyhan (3,5%) e Buyuk Menderes (2,4%), contribuiscano a tre delle cinque principali fonti di inquinamento da plastica nel Mediterraneo. Tutti e tre questi fiumi ricevono acque reflue dall’industria del riciclaggio. Secondo le autorità dell’impianto di trattamento delle acque reflue di Seyhan, nel comune di Adana un afflusso settimanale di circa 80 tonnellate di rifiuti di plastica triturati proviene esclusivamente da una zona di riciclaggio che ospita importatori di rifiuti di plastica”. – continua sotto –  

Per quanto riguarda il ruolo dell’Italia, anche se l’esportazione di rifiuti di plastica dal nostro Paese alla Turchia potrebbe non essere sostanziale in termini di quantità, una piccola esportazione ha comunque un impatto negativo sul problema del cosiddetto “colonialismo dei rifiuti”. Inoltre, nelle quantità esportate non viene conteggiata l’esportazione attraverso i paesi di trasbordo, ad esempio Paesi Bassi, Germania e Polonia.

Nel frattempo, si danneggiano gli ecosistemi: “Un rapporto recentemente pubblicato da Human Rights Watch – fa sapere Gündogdu – rivela che i rifiuti di plastica esportati in Turchia, anche dall’Italia, vengono smaltiti in un modo che rappresenta una minaccia sia per l’ambiente che per la salute umana”. Anche perché molti rifiuti che non possono essere riciclati finiscono in discariche illegali che, spesso, vengono date alla fiamme, a pochi metri di distanza dai centri abitati.

“Ogni Paese – conclude il biologo marino – deve gestire i rifiuti in modo autonomo e non inviarli in Paesi, come la Turchia, che non hanno i mezzi nemmeno per riciclare le quantità interne. E’ l’unica soluzione fattibile se davvero si vogliono cambiare le cose”. IN ALTO IL VIDEO

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