Si è conclusa senza troppe sorprese la 96esima Notte delle Stelle a Hollywood. Il lunghissimo show per la consegna degli Oscar, condotto, per la quarta volta, dal brioso comico Jimmy Kemmel ha, infatti, decretato un unico vincitore, peraltro già annunciato da mesi. – continua sotto –
“Oppenheimer”, il riuscito biopic dedicato all’inventore della bomba atomica, del più volte candidato Cristopher Nolan ha portato a casa ben sette prestigiosissime statuette: film, regia, attori protagonista (Cillian Murphy), non protagonista (Robert Downey Jr), montaggio, fotografia, colonna sonora.
Un bottino invidiabile, senza dubbio, per uno dei trionfatori al box office della stagione, insieme, ovviamente, al suo antagonista, in termini di incassi, quel “Barbie” di Greta Gerwig, accolto all’uscita da grandi elogi ma sgonfiatosi nel lungo periodo, tanto da accontentarsi del solo premio alla canzone originale di Billie Eilish. In effetti, c’è anche una spiegazione riguardo a tutto ciò, poiché il lungometraggio della Gerwig, salutato ai tempi come significativo manifesto neo femminista, è stato, in tal ruolo, completamente soppiantato dalle “Povere creature” di Yorgos Lanthimos. Quest’ultimo, non solo, ha condotto la meravigliosa protagonista Emma Stone (resterà negli annali la sua performance nei panni dell’inafferrabile Bella Baxter) al suo secondo Academy Award personale, ma ha battuto le “Barbie” sul campo che le era proprio di diritto, ovvero la scenografia, i costumi, il trucco e parrucco, a dimostrazione del fatto, ove mai ce ne fosse stato bisogno, che l’autentico luogo della narrazione del processo di liberazione femminile risulta essere, primariamente, lo spazio colorato, ammaliante, sensuale, senza tempo creato dalle sapientI mani del talentuoso Lanthimos.
Meritato, anche, il trofeo alla non protagonista Da’vine Joy Randolph, strepitosa cuoca di un tipico college americano nel malinconico “The Holdovers” di Alexander Payne. Gli Oscar alle migliori sceneggiature, originale e non originale, attribuiti, rispettivamente, al francese “Anatomia di una caduta” di Justine Triet e allo statunitense “American Fiction” di Cord Jefferson hanno sottolineato, giustamente, il valore di due opere da non dimenticare in un’annata di livello, senza dubbio, eccellente. – continua sotto –
Per quanto riguarda il riconoscimento mancato a “Io capitano” di Matteo Garrone, nella categoria di miglior film internazionale, non si può certo parlare di delusione poiché si sapeva che il chirurgico “La zona di interesse” del britannico Jonathan Glazer (insignito anche della statuetta al sonoro) non avrebbe avuto rivali, ma già l’essere giunto nella cinquina finalista ha rappresentato un ottimo traguardo per Garrone, sperando che, a questo punto, l’opera stessa intraprenda un percorso di successo, ancor più significativo, nei cinema a stelle e strisce.