Franco Di Mare, conduttore tv e storico giornalista a lungo inviato Rai in teatri di guerra nella ex Jugoslavia, in collegamento con la trasmissione “Che tempo che fa?” di Fabio Fazio, ha annunciato di avere “un mesotelioma, un tumore molto cattivo”. “Si prende perché si respirano particelle di amianto senza saperlo e una volta liberata nell’aria la fibra, ha un tempo di conservazione di sé lunghissimo e quando si manifesta è troppo tardi”.
La malattia, spiega, è “legata alla presenza di amianto nell’aria e si prende tramite la respirazione di particelle di amianto, senza rendersene conto”. L’inviato Rai, che ha deciso di raccontare la sua storia anche in un libro, collega il cancro ai tanti servizi dai teatri di guerra: al Corriere ricorda di aver lavorato nei Balcani “tra proiettili all’uranio impoverito” e “ogni esplosione liberava nell’aria infinite particelle di amianto. Ne bastava una. Magari l’ho incontrata proprio a Sarajevo, nel luglio del 1992, la mia prima missione. O all’ultima, nel 2000, chissà. Non potevo saperlo, ma avevo respirato la morte. Il periodo di incubazione può durare anche 30 anni. Eccoci”.
Collegato con Fazio da casa, Di Mare non esita a chiamare in causa i manager della tv pubblica: “Posso capire che esistano delle ragioni di ordine sindacale, legale. Ma io chiedevo alla Rai lo stato di servizio, che è un mio diritto. “Mi fate un elenco dei posti dove sono stato? Perché così posso chiedere cosa si può fare”. Sono spariti tutti. Quello che capisco meno è l’assenza sul campo umano. Quelle persone a cui davo del tu sono sparite, si negavano al telefono, a me. Io davanti ad un atteggiamento del genere trovo solo un aggettivo: è ripugnante”.
“Ho avuto una vita bellissima”, ha continuato il giornalista. “Le memorie che ho sono memorie piene di vita. Non voglio fossilizzarmi attorno all’idea di morte. Mi voglio legare all’idea che c’è la vita. Quello che mi dispiace tanto è scoprirlo solo adesso. Non è ancora tardi”.
Da Fazio, collegato da casa con un respiratore automatico, ha presentato il suo libro “Le parole per dirlo. La guerra fuori e dentro di noi”, proprio nel giorno dei lavoratori vittime dell’amianto. “Dire che con questo finiscono le speranza non è vero, perché la scienza va sempre avanti”. E ha aggiunto: “Sono qui a festeggiare una soluzione che potrebbe essere scoperta, speriamo che ci sia una soluzione e che non sia così lontana”.
Per la malattia, ha sottolineato il giornalista, c’è bisogno che ci sia l’idea di comunità intorno al malato, “quando qualcuno si ferma ad aiutare gli altri lì nasce la comunità degli umani”. Nel libro si intreccia la sua storia di vita con l’esperienza del momento e la sua terribile malattia. “Ho avuto una vita bellissima e le memorie che ho sono piene di vita. Mi dispiace di scoprirlo adesso, ma non è troppo tardi, il mio arbitro non ha fischiato ancora”, ha detto riferendosi alle celebri parole dell’allenatore Vujadin Boskov “partita finisce quando arbitro fischia”.